domenica 2 gennaio 2011

Ricordando Saramago


Il Premio Nobel Josè Saramago vedeva la Rete come un’inesauribile fonte di libertà. Dedicargli il primo articolo di Murale mi è sembrato doveroso. A ottantacinque anni questo grande della letteratura aveva deciso di dare vita ad un blog, per il piacere di pascolare sulle praterie di Internet «come uno dei tanti blogger del cyberspazio». E con l’intenzione di gettarvi le sementi che avrebbero nutrito le future generazioni.
Memorabili le sue riflessioni sul nostro Paese, e in particolare l’articolo intitolato Fino a quando,  o Berlusconi, abuserai della nostra pazienza?. In quell’occasione Saramago riprendeva le parole che Cicerone aveva scagliato contro il cospiratore Catilina, rincarando la dose con una lucidissima accusa: «Il Catilina odierno, in Italia, si chiama Berlusconi. Non ha bisogno di dare la scalata al potere perché è già suo, ha soldi abbastanza per comprare tutti i complici che siano necessari, compresi giudici, deputati e senatori. E’ riuscito nella prodezza di dividere la popolazione dell’Italia in due: quelli che vorrebbero essere come lui e quelli che già lo sono. Ora ha promosso l’approvazione di leggi assolutamente discrezionali contro l’immigrazione illegale, mette pattuglie di cittadini a collaborare con la polizia nella repressione fisica degli immigrati privi di documenti e, massimo dei massimi, vieta che i figli di genitori immigrati siano iscritti all’anagrafe. Catilina, il Catilina storico, non avrebbe fatto di meglio» (J. Saramago, L’ultimo quaderno, Feltrinelli, 2010, pp. 62-63).
A seguito di articoli come questo, la casa editrice Einaudi non pubblicò Il Quaderno, l’imperdibile opera – poi diffusa da Bollati Boringhieri – nella quale Saramago aveva raccolto gli interventi apparsi sull’omonimo blog. Nell’ottobre 2009 il grande scrittore venne in Italia e, ospite di Serena Dandini a Parla con me, raccontò la sua verità. Disse che i dirigenti della Einaudi avevano accettato di  sottoporsi ad un’operazione di autocensura perché intimiditi dagli avvocati di Berlusconi. Quando la conduttrice accennò alla necessità di un contraddittorio che coinvolgesse i difensori del premier, Saramago la interruppe con risolutezza: «No. In questo caso il contradditorio non è necessario. Perché se loro venissero qui, mentirebbero».
Perché ricordare un episodio simile, apparentemente insignificante tra le tante belle pagine che l’illustre portoghese ci ha regalato? In primo luogo, perché  l’autore di Cecità dimostrava di aver capito con quale razza di persone ci si debba confrontare in Italia. Forse non aveva mai visto in faccia Niccolò Ghedini o Gaetano Pecorella, ma aveva vissuto sotto la dittatura di Salazar e certamente conosceva lo sfacciato servilismo degli uomini di regime. In secondo luogo – e questa è la sua lezione più importane – l’anziano scrittore voleva porre la propria integrità intellettuale al servizio di una posizione fuori moda, e ricordare ancora una volta che dietro ad opinioni contrapposte esistono sempre dei fatti e delle menzogne. Una posizione che dovremmo riaffermare con l’adeguato vigore, soprattutto in un tempo di mistificazioni e di bugie come questo.
Ma la verità è anche una scelta. Josè Saramago, figlio di contadini, aveva scelto di prestare la propria voce agli ultimi e alle loro battaglie, nella più coerente fedeltà a quanto appreso da Marx e da Engels: «Se l’uomo è formato dalle circostanze, bisogna formare le circostanze umanamente». Questo principio, che Saramago tradusse in una fedeltà senza riserve al marxismo, riemerge oggi in tutta la sua forza e in tutta la sua radicale bellezza. Al di fuori di esso, comunque la si pensi, è impossibile concepire una qualche forma di giustizia sociale.

Manuel Lambertini

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