martedì 31 maggio 2011

I volti della vittoria

Questa volta «abbiamo scassato» davvero, per dirla con le parole trionfali e liberatorie di Luigi De Magistris. Non solo a Milano e Napoli, ma anche a Cagliari, Novara, Crotone, Grosseto, Rimini; nelle provincie di Macerata, di Mantova, di Pavia, di Trieste... E ad Arcore, dove la candidata del centrosinistra Rosalba Colombo ha vinto col 56,6 % dei voti.
Una vittoria inequivocabile, che lascia sul campo alcune vittime eccellenti. Lui, il Cavaliere, ha già ironizzato sulla sconfitta, assicurando la stabilità del governo e l’immutata solidità dell’alleanza con la Lega. Una Lega che si è vista sottrarre il comune di Novara, città natale di Roberto Cota, dove il candidato del Carroccio Mauro Franzinelli è stato sconfitto dal democratico Andrea Ballarè. Anche Desio e Rho, dove la Lega correva da sola, sono passati al centrosinistra, e per la provincia di Mantova Alessandro Pastacci ha battuto il deputato leghista Gianni Fava.
È stata la debacle del centrodestra più impresentabile d’Europa. Una scarica elettrica di intensità perfino superiore a quella delle elezioni regionali del 2005, quando l’Unione di Romano Prodi conquistò dodici regioni su quattordici. Ieri, anche il Professore si è preso la sua rivincita sulla politica volgare e sullo scontro urlato. A sorpresa, ha festeggiato la vittoria insieme a Pier Luigi Bersani, che lo ha accolto al Pantheon con il consueto calore: «Vieni Romano, qui sei a casa tua». A tre anni dalla caduta dell’ultimo governo di centrosinistra, il Professore può gioire per un nuovo successo, soprattutto grazie a quel pubblico ministero napoletano che provocò le dimissioni del ministro Mastella e che assestò il colpo di grazia al suo già traballante esecutivo. «Se vince De Magistris mi suicido», aveva dichiarato nei giorni scorsi lo stesso Mastella... Non onorerà l'impegno, naturalmente. E Berlusconi non confesserà mai di aver indetto un referendum su se stesso e di averlo perso: crede di poter recuperare consensi, come in passato, ma le armi che lo hanno fatto forte sembrano ora più inefficaci che mai.
Ancor prima di bocciare il governo, queste imprevedibili elezioni amministrative hanno spazzato via il freddo politicismo filo-centrista e la vocazione maggioritaria del Pd. Pier Luigi Bersani ha tutti i titoli per festeggiare questa vittoria: ha resistito alle contestazioni della corrente veltroniana, non si è lasciato sedurre dall’ammucchiata ricostituente promossa da D’Alema, ha concentrato la propria attenzione su questioni concrete, senza la paura di ripetersi e con un’ossessività che comici e intellettuali hanno subito entusiasticamente raccolto.
Milano è espugnata. Napoli non è caduta tra le grinfie del potente sottosegretario Cosentino. Cagliari è rossa dopo vent’anni: il trentacinquenne Massimo Zedda, candidato di Sinistra Ecologia e Libertà, ha sfiorato il 60 % dei voti. Inutile soffermarsi, poi, su Giuliano Pisapia e su Luigi De Magistris. Difficile, in verità, immaginare due persone più diverse: l’uno garantista e affabile, l’altro sanguigno ed aggressivo. Tra loro, un matrimonio a distanza: un connubio perfetto che non potrà non avere conseguenze sul piano nazionale. E che ha già unito chi sta a sinistra da sempre con chi mai ci starebbe se solo la destra italiana fosse diversa.

Manuel Lambertini

sabato 21 maggio 2011

Un’altra cosa

Maurizio Cevenini, Virginio Merola e Raffaele Donini
«Bologna è un’altra cosa». Ricordo di aver sentito questa frase nel giugno del 2009, in una Piazza Maggiore gremita di sostenitori del Partito democratico, durante la campagna elettorale per le scorse elezioni amministrative. A scandirla tra gli applausi era Flavio Delbono. Ma non importa. Gli elettori bolognesi hanno rigato dritto anche stavolta. Non ci hanno riservato brutte sorprese. E se Dio vorrà trascorreremo i prossimi cinque anni senza grossi sconvolgimenti, magari all’insegna della buona amministrazione... L’offensiva della Lega è stata respinta, e questa è la cosa più importante. Le tensioni tra le fila della maggioranza e del governo nazionale, dopo la clamorosa sconfitta a Milano, si sono moltiplicate. Tutte buone notizie, dunque. Tante tessere di un mosaico ancora incompleto, ma sufficiente ad aprire uno scenario nuovo. Il centrosinistra ha conquistato al primo turno tredici comuni capoluogo (Torino, Bologna, Savona, Ravenna, Fermo, Arezzo, Siena, Benevento, Salerno, Barletta, Olbia, Villacidro e Carbonia) contro i quattro del centrodestra (Latina, Caserta, Catanzaro e Reggio Calabria) ed è in vantaggio in buona parte delle città e delle province che andranno al secondo turno.
«Fatto salvo Milano, che per noi è stata una vera sorpresa, sul resto i numeri dimostrano una sostanziale parità fra centrodestra e centrosinistra», ha dichiarato il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini. Lo ha detto con la stessa faccia con cui nel marzo del 2010 annunciava che i manifestanti del Pdl in Piazza San Giovanni erano «più di un milione», a fronte delle 150.000 persone rilevate dalla Questura di Roma. Insomma, i toni sommessi e gli imbarazzati silenzi non devono ingannare: questa destra non si smentisce mai. Con l’apparizione del premier a reti unificate siamo solo alle prime avvisaglie di un annunciato susseguirsi di bassezze. E la vergognosa diffamazione che si è abbattuta su Giuliano Pisapia sta già cedendo il passo al peggiore allarmismo anti-immigrazione.
È incoraggiante sapere che Bologna non verrà umiliata da uno spettacolo simile. Il Pdl locale ha perso la metà dei consensi accordatigli alle ultime elezioni europee, con un travaso alla Lega Nord che non ha permesso a Bernardini di sfondare. «Complimenti al nuovo sindaco», si è limitato a dire il candidato leghista. «Forse a certi bolognesi è mancato il coraggio e ha vinto l’ideologia». Già, il coraggio. A votarlo ci voleva un bel coraggio. Soprattutto dopo l’inquietante sfilata di ministri leghisti giunti in città nelle ultime settimane. Su tutti, Giulio Tremonti, il leghista del Pdl che già si erge a nuovo capocomico: «Quando mi hanno detto che le primarie del Pd le aveva vinte uno che si chiama Merola pensavo di essere a Napoli. Invece ero a Bologna. Troppe persone vengono da fuori e il prossimo sindaco potrebbe chiamarsi Ali. Anzi Ali Babà. Così i babà li dà a Merola».
Ma sì, ha vinto l’ideologia. Ha prevalso il voto di appartenenza. E adesso vorrei abbracciare, uno per uno, tutti quei vecchietti che ancora affollano gli stand delle Feste dell’Unità, semplici e un po’ diffidenti, arrabbiati con gli «zingari» e coi «marocchini» – siano questi ultimi del Maghreb o della provincia di Napoli – ma sempre fedeli al partito. Loro il centralismo democratico ce l’hanno nel sangue. Loro non tradiscono, per quanto possano minacciare la diserzione delle urne fino all’ultimo giorno di campagna elettorale. È anche grazie alla loro ideologia (e, diciamolo pure, al loro incrollabile buonsenso) se Virginio Merola può festeggiare la vittoria al primo turno delle elezioni amministrative. Ma quanto accadrà tra cinque anni, in un’Italia e in una Bologna libere dalla zavorra berlusconiana, dipenderà solo da lui.

Manuel Lambertini