domenica 21 settembre 2014

Il miracolo di Leonard Cohen

Leonard Cohen (Montreal, 21 settembre 1934)
C’è tutto Leonard Cohen nel duplice proposito di festeggiare l’ottantesimo compleanno con l’uscita di un nuovo album e con la vagheggiata riscoperta, dopo molti anni, del vizio della sigaretta. Ci sono il suo innato senso della disciplina e un fondo di radicalismo mai tradito, la fremente esaltazione e l’autodenigrazione. Nei prossimi giorni forse sapremo se la promessa di riprendere a fumare sia stata onorata; il nuovo disco è invece realtà: Popular Problems, in uscita il 23 settembre, si annuncia come il più "politico" dei suoi tredici album – nel cupissimo scenario di un’umanità disorientata da tragedie come l’11 settembre o l’uragano Katrina – e sembra preannunciare un’altra attesissima tournée.
«Viviamo prigionieri di un senso di paura e di sconfitta, minacciati da forze oscure che modificano le nostre vite», ha detto anche di recente, ribadendo quello che è sempre stato un punto fermo della sua poetica. «Tutti soffriamo, tutti siamo impegnati in una lotta per il reciproco rispetto. Dobbiamo cominciare a riconoscere che il nostro dolore è uguale a quello degli altri, che la nostra battaglia è legittima quanto quella dei nostri nemici».
Leonard Cohen e il maestro Roshi,
scomparso il 27 luglio 2014 a 107 anni.
Elementari necessità economiche ne avevano costretto il ritorno sulle scene, nel 2008, a seguito di una frode commessa ai suoi danni dalla manager Kelley Lynch: dopo essersi ritirato per circa sei anni nel monastero zen di Mount Baldy, a Los Angeles, ospite dell’amico e maestro Kyozan Joshu Sasaki Roshi, Cohen aveva scoperto che il suo conto in banca era stato prosciugato e i diritti d’autore delle  canzoni venduti. Rimessosi in pista, sarebbe incredibilmente riuscito a sconfiggere il fantasma del massacrante tour dell’album The Future (1992), che lo aveva fatto risprofondare negli abissi della depressione, e a regalarsi una volta per tutte il piacere del confronto col pubblico.
Se si potesse ripercorrere con uno sguardo il romanzo della sua vita, lo si vedrebbe studiare il Talmud e l’arte dell’ipnosi nella Montreal degli anni ’40, e imbattersi con incontenibile meraviglia nelle poesie di Federico García Lorca. Lo si ritroverebbe nell’isola di Idra, in Grecia, insieme all’amata Marianne e all’amico poeta Irving Layton; oppure all’Avana, in attesa di poter difendere la Revolución da un eventuale attacco americano; o ancora nel deserto del Sinai, a cantare per le truppe israeliane schierate nella guerra del Kippur e a scrivere il testo di Lover, lover, lover, poi dedicata «agli eserciti di entrambe le parti».
È attraverso la sua opera, le sue poesie in musica, che ciascuna di queste pagine viene illuminata con rigore ed eleganza, in un miracoloso vortice di fede, amore, perdizione, misericordia. Vi si ritrovano, tutte insieme, le donne della sua vita: Suzanne Verdal, la ballerina «mezza matta» della casa «vicino al fiume», che gli offre «tè ed arance venute dalla Cina»; Marianne Ihlen, la musa di So Long, Marianne; ma anche Joni Mitchell, l’algida Nico – protagonista della disperata One Of Us Cannot Be Wrong – e Janis Joplin, ricordata nella struggente Chelsea Hotel; poi Suzanne Elrod, madre dei suoi due figli, Adam e Lorca, la fotografa Dominique Issermann, l’attrice Rebecca de Mornay, la pianista Anjani Thomas e altre ancora.
Leonard Cohen e il chitarrista Javier Mas
È un universo, quello di Cohen, dove l’amore carnale e la fede sembrano concorrere in egual misura ad alleviare le sofferenze umane e a riempirle di senso, come nel brano che lo ha reso immortale, quell’Hallelujah scritta in cinque lunghi anni, e nell'ancor più intensa If It Be Your Will: «Lascia che la tua misericordia si riversi / su tutti questi cuori che bruciano all'inferno / se è tua volontà / di farci stare bene». Quando, in un’intervista del 1994, gli fu chiesto quale canzone avrebbe voluto scrivere, la sua risposta fu: «If It Be Your Will. E l’ho scritta io».
«Se conoscessi il luogo in cui abitano le canzoni lo visiterei più spesso», è una delle sue battute più frequenti. E oggi che ha dichiarato di aver prodotto Popular Problems sotto l’influsso di un’ispirazione torrenziale, sembrano trovare conferma le parole della sua biografa Sylvie Simmons, secondo cui il tour del 2008 e l’album Old Ideas del 2012 gli avrebbero fatto raggiungere quella condizione di leggerezza e serenità che aveva sempre cercato. Sono stati invece smentiti coloro che avevano visto Old Ideas come un congedo, per quanto ancora incisivo e disinvolto: Leonard Norman Cohen, ebreo osservante «nato con l’abito» e monaco zen dal sorriso obliquo, non ha in programma alcun commiato.


Manuel Lambertini