sabato 11 luglio 2015

Giacomo Biffi

Giacomo Biffi
(Milano, 13 giugno 1928 - Bologna, 11 luglio 2015)
Da arcivescovo di una città come Bologna, dove ogni frizione finisce sempre per smorzarsi in una bonarietà avvelenata di rancore, dove tutte le fratture si ricompongono all'insegna di un politicamente corretto venato di ipocrisia, il cardinale Giacomo Biffi interpretò il proprio ruolo di pastore con una franchezza strepitosa. Pungolava senza tregua la cittadinanza bolognese, randellava senza grazia le amministrazioni locali e i governi nazionali. Ravvivava l'ortodossia cattolica con un gusto per la provocazione che, insieme al suo profilo da irriducibile, doveva aver mutuato dalle umili origini familiari.
Ero molto piccolo, ma ricordo benissimo gli ultimi anni del suo mandato. Avevo meno di dieci anni quando, durante un raduno di Estate Ragazzi ai Giardini Margherita, ricevetti l’Eucarestia dalle sue mani. 
Una volta, alle scuole elementari, scrissi un tema di cui la maestra Rosanna disse: “Questo piacerebbe molto al cardinale Biffi!”. Ne fui fierissimo. Di quel tema ricordo solo che mi era stato chiesto dove avrei voluto far nascere Gesù in epoca contemporanea, ed io avevo scelto il Vietnam.
Un’altra volta lo vidi in una strada di montagna a Lizzano in Belvedere, mentre ero impegnato in una faticosissima passeggiata con mio nonno Gerardo: la sua auto blu ci sfilò lentamente accanto, e i commenti del nonno mi aiutarono a capire che alcuni hanno Dio dalla loro parte, altri no.
Con Biffi penso di aver condiviso solo il segno zodiacale, perché compivamo gli anni lo stesso giorno: il 13 giugno 2008 io raggiunsi la maggiore età, lui festeggiò gli 80 anni con una celebrazione solenne al Santuario della Madonna di San Luca. Mi sarei precipitato lì, se avessi saputo la notizia in tempo.
Insomma, è molto quello che resta del cardinale Biffi. Perché era un pastore che non aveva dimenticato la funzione primaria del bastone. Dio solo sapeva quanta fatica gli costasse lasciare l’ultima parola al perdono. Eppure ci è sempre riuscito. Di questo, davvero, sono sicuro.

domenica 5 luglio 2015

Le colline del Peloponneso


«[...] Nella stessa misura in cui non capisco il potere, io capisco chi avversa il potere, chi censura il potere, chi contesta il potere, soprattutto chi si rivolta al potere imposto con la brutalità. Alla disubbidienza verso i prepotenti ho sempre guardato come all'unico modo di usare il miracolo d’essere nati. Al silenzio di chi non reagisce e anzi applaude ho sempre guardato come alla vera morte di una donna o di un uomo. E ascolta: il più bel monumento alla dignità umana per me resta quello che vidi su una collina del Peloponneso, insieme al mio compagno Alessandro Panagulis, il giorno in cui egli mi condusse da alcuni resistenti, ed era l’estate del 1973, Papadopulos era ancora al potere. Non si trattava di un simulacro, e nemmeno di una bandiera, ma di tre lettere, OXI, che in greco significan NO. Uomini assetati di libertà le avevano scritte tra gli alberi durante l’occupazione nazifascista e, per trent’anni, quel NO era rimasto lì: senza sbiadirsi alla pioggia ed al sole. Poi i colonnelli lo avevan fatto cancellare con una mano di calce. Ma subito, quasi per sortilegio, la pioggia e il sole avevan sciolto la calce. Sicché giorno per giorno le tre lettere riaffioravano testarde, disperate, indelebili».

Oriana Fallaci, Intervista con la storia, Milano, Rizzoli, 1977.