sabato 23 luglio 2011

Amy Winehouse

È morta a 27 anni, come Kurt Cobain, Jimy Hendrix, Jim Morrison, Brian Jones e Janis Joplin. La «maledizione del rock» non ha perdonato neanche a lei quella pulsione autodistruttiva che troppe volte accompagna gli artisti di talento. Prima una psicosi maniaco-depressiva, unita a disturbi di bulimia e anoressia, poi la dipendenza da farmaci, alcol e droga: oggi un cocktail esplosivo ne ha provocato il decesso, in circostanze ancora da chiarire. È morta da sola, nella sua casa vicino Londra, lontana da quei flash e da quelle telecamere che impietosamente ne avevano documentato tutte le disavventure: per la gioia dei tabloid scandalistici e tra i sorrisi maligni di un pubblico superficiale. L’opera compiuta in vita le permetterà forse di entrare nella leggenda. Ma lo spegnersi della sua voce, tra le convulsioni dell’ultimo eccesso e lo spasimo di un malessere insanabile, è un prezzo troppo alto, lontano da ogni idea di giustizia.


Manuel Lambertini

sabato 9 luglio 2011

La lunga estate di DSK

Erano le 16.45 del 14 maggio. A bordo di un volo Air France diretto a Parigi, sulla pista dell’aeroporto Kennedy di New York, il direttore del Fondo Monetario Internazionale veniva prelevato dal Midtown South Precint del Dipartimento di Polizia e condotto al commissariato di Harlem. Gravissime le accuse: tentato stupro e sequestro di persona, per una pena massima di 25 anni di carcere. Le prime ricostruzioni della vicenda, ancorché lacunose e sfumate, sembravano quantomeno sufficienti ad eliminare dalla scena politica uno degli uomini più potenti del pianeta. La presunta vittima, una cameriera guineana del Sofitel di Manhattan, aveva raccontato di essere entrata nella suite del prestigioso albergo, credendola vuota; all’improvviso, secondo la sua versione, Strauss-Kahn era uscito dal bagno completamente nudo e aveva tentato di abusare di lei, costringendola ad un rapporto orale. Liberatasi, Nafissatou Diallo, detta “Ofelia”, ha subito chiamato il 911 per denunciare la violenza: nel frattempo, il direttore del Fmi aveva lasciato l’albergo, dimenticando il telefono cellulare ed altri oggetti personali. Le immagini di Dominique Strauss-Kahn in manette, attorniato da impassibili agenti di polizia, di lì a poco avrebbero fatto il giro del mondo.
Per alcuni giorni, le “prove” contro DSK sono parse inconfutabili: sul colletto della divisa della ragazza erano state rinvenute tracce del suo sperma, mentre i graffi sul torace di lui sembravano provare la natura violenta del rapporto sessuale. Intanto la sua lettera di dimissioni dalla direzione del Fmi non è tardata ad arrivare: «Nego nei termini più forti possibili le accuse che oggi devo affrontare: sono convinto che la verità sarà portata alla luce e sarò dichiarato innocente. Ma non posso accettare che il Fmi debba in qualche modo condividere l’incubo che sto vivendo io. È necessario dunque che mi faccia da parte». Poi un mese di relativo silenzio, con i legali al lavoro – Benjamin Brafman e William Taylor, tra i migliori d’America – e Strauss-Kahn agli arresti domiciliari, sostituito al Fondo dalla connazionale Christine Lagarde. Ed ora la svolta: troppe le incongruenze e le menzogne nei racconti della cameriera, che secondo il New York Post sarebbe una prostituta vicina a persone coinvolte in traffici di droga e nel riciclaggio di denaro sporco. Il tabloid di Rupert Murdoch riferisce, tra l’altro, che il direttore del Fmi si sarebbe rifiutato di pagare la prestazione sessuale, scatenando le ire della ragazza…
Una vicenda intricata e dai molteplici risvolti, tra le cui pieghe il 57 % dei francesi intravede l’ombra del complotto. Gli inquirenti hanno passato al setaccio la vita della vittima, indagando sul suo passato e intercettandone le conversazioni telefoniche: “Ofelia” ha avuto un colloquio con il presunto marito, detenuto in Arizona per traffico di droga, discutendo con lui dei vantaggi che avrebbe potuto ottenere sfruttando il clamoroso caso giudiziario. Insieme ad altre persone, l’uomo avrebbe versato alla cameriera circa 100mila dollari, che potrebbero nascondere un’operazione di riciclaggio. La donna aveva anche dichiarato di possedere un solo telefono, ma gli agenti hanno scoperto che ogni mese pagava bollette per centinaia di dollari a cinque diverse compagnie. Nei documenti presentati per ottenere l’asilo politico negli Usa, inoltre, “Ofelia” non aveva fatto alcun riferimento alle mutilazioni genitali che oggi sostiene di aver subito in Africa.
È notizia di pochi giorni fa la decisione, da parte della giornalista francese Tristane Banon, di sporgere denuncia contro Strauss-Kahn per una tentata violenza risalente al 2003: notizia giunta proprio quando la procura di New York sembrava voler definitivamente archiviare il caso “Ofelia”. Una denuncia a orologeria, già stigmatizzata dai sostenitori di DSK come l’ultimo tentativo di impedirne la corsa alla presidenza della repubblica francese.
Ad accompagnare l’affaire Strauss-Kahn non sono mancate le polemiche, e nemmeno le più imbarazzanti prese di posizione. Si è detta indignata – «come dovrebbe esserlo ogni uomo e ogni donna intelligente» – la scrittrice Erica Jong, che sembra aver già emesso un’inappellabile sentenza di condanna: «Siamo di fronte al replay di un copione vecchio come il mondo, un copione in cui la vittima viene trasformata in colpevole e il colpevole in vittima. Sotto i riflettori, adesso, è rimasta solo la cameriera e nessuno parla più dello stupratore». Guai a farle notare che lo «stupratore» può aver avuto con la «vittima» un rapporto consensuale: «DSK è colpevole e nessuno ha mai messo in dubbio che l’abbia assaltata sessualmente. Anche il fatto che una povera disgraziata abbia pensato di trarre economicamente vantaggio dalle proprie sventure è comprensibile». E ancora: «Nei sistemi giudiziari di mezzo mondo è sempre la donna a finire sul banco degli imputati. Basta guardare cosa è successo in Italia con il caso Amanda Knox, additata da tutti come la vera colpevole al posto di Rudy Guede e Raffaele Sollecito. Succede dal Medioevo, quando il test per determinare se una donna era una strega consisteva nel buttarla nel fiume: se restava a galla era colpevole, se affogava innocente». Come la Jong sia riuscita a trasformare il delitto di Perugia in una questione di genere resta un mistero. E le sue parole tradiscono un difetto tutto femminista, sostanzialmente riconducibile al non aver ancora interiorizzato la differenza che corre tra lo stupro e il rapporto sessuale volontario… Ma le veterofemministe e i giustizialisti ad oltranza, in questa storia, sono solo voci di contorno. Miseri figuranti, sovrastati senza fatica dalla grandezza della figura di Anne Sinclair: tradita, umiliata dagli scabrosi resoconti dei media, la signora Strauss-Kahn non ha lasciato trapelare la minima incertezza circa l’innocenza del marito. È dunque comprensibile che il suo comportamento esemplare abbia allarmato chi fa dell’ipotetico scontro tra i sessi la bandiera irrinunciabile della propria carriera.
Allargando ulteriormente il dibattito, altri si sono lanciati in lodi sperticate del sistema giudiziario americano: prima per aver trattato l’imputato Strauss-Kahn come un comune criminale, poi per averlo liberato in un batter d’occhio, non appena l’attendibilità della cameriera è sembrata venire meno. Ebbene, è il caso di dirlo con la massima chiarezza: il sistema americano non può essere elevato a modello di civiltà giuridica. Dietro all’esasperata spettacolarizzazione, alle gogne mediatiche e ai continui colpi di scena, si cela ancora tutta la natura classista e inguaribilmente discriminatoria della società statunitense. DSK è stato dato «in pasto ai cani», come ha fatto polemicamente notare il filosofo Bernard-Henri Lévi, in quella «perp walk» che espone il «perpetrator» agli impietosi flash dei fotografi, e che la tradizione anglosassone deve aver esteso ai potenti per preservare l’illusione del giusto processo. Perché di illusione si tratta, viste le eccezionali scappatoie che questo sistema sa offrire a chi può permettersi i grandi avvocati… Lo stesso difensore di Strauss-Kahn, Ben Brafmam, nel 2001 è stato protagonista di un caso in tal senso emblematico: con un’arringa magistrale, riuscì ad ottenere la piena assoluzione del rapper Puff Daddy, arrestato con la pistola in mano dopo una sparatoria in un nightclub. L’accusa aveva chiesto 15 anni di carcere. Ancor più eclatante e scandalosa l’assoluzione di O. J. Simpson, difeso da un team che comprendeva gli impareggiabili Johnnie Cochran e Alan Dershowitz. Accusato dell’omicidio della moglie e di un amico, il campione di football americano, unico indagato, fu prosciolto solo grazie ad una registrazione che provava che l’investigatore occupatosi del caso aveva precedentemente pronunciato alcune frasi razziste. La giuria, composta da sette neri, quattro bianchi e un ispanico, si convinse che la scena del crimine poteva essere stata manomessa, e la valanga di prove a carico dell’imputato magicamente scomparve nel nulla.
L’affaire Strauss-Kahn è ovviamente molto diverso. Qui il protagonista è un personaggio ingombrante: il direttore del Fmi che intendeva favorire l’ingesso del colosso indiano nel tempio della finanza mondiale, e che si era inimicato i più rigidi custodi della tradizione monetarista per aver riscoperto dopo decenni l’eredita keynesiana; un politico di prima grandezza, superfavorito alle primarie del Partito Socialista e assai temuto da Nicolas Sarkozy. Proprio sul presidente francese sono caduti i primi sospetti. Il capo della polizia di New York, Ray Kelly, sarebbe un caro amico di Sarkozy, che lo ha insignito della Legion d’onore. Inoltre il Sofitel di Manhattan è di proprietà del gruppo francese Accor, a lungo guidato da un ex collaboratore dell’industriale Martin Bouygues, tra i massimi finanziatori della campagna elettorale di Sarko. Da Parigi sarebbero anche partiti ordini e bonifici indirizzati alla cameriera. E il gruppo Accor, informato dalla direzione del Sofitel, avrebbe contattato il servizio di intelligence dell’Eliseo, nella persona del prefetto Ange Mancini, alle 23.45 (ora di Parigi) del 14 maggio, ben prima che il NYPD sapesse dell’aggressione. Ma questa è solo una delle tante piste possibili, e non è da escludere che sia stata costruita a regola d’arte per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica da una realtà infinitamente più complessa.
In tutta la vicenda, almeno sul piano morale, l’interrogativo di fondo resta un altro. È possibile che uno degli uomini più potenti del mondo sia vittima di una povera cameriera di colore residente nel Bronx? Piaccia o meno, la risposta non può che essere affermativa. Anzi, mai come per questa circostanza è parso tanto appropriato il proverbio caro a Mao Tse-Tung: «Se ad un cretino indichi la Luna con il dito, quello guarda e vede il dito, non la Luna». Ancora una volta, infatti, inutili polemiche di genere e oziosi dibattiti intorno al ruolo della stampa hanno finito per oscurare le conseguenze che un fatto di così vasta portata ha provocato e provocherà sullo scenario internazionale. Quanto al futuro di Dominique Strauss-Kahn, si può solo confidare nella più piena realizzazione dell’incubo di Erica Jong, secondo cui l’ex numero uno del Fmi «utilizzerà quanto è successo per trarre il massimo vantaggio politico». Una simile conclusione è ciò che «ogni uomo e ogni donna intelligente», dal profondo del proprio cuore, si augura.

Manuel Lambertini