sabato 20 luglio 2013

Giampiero Calderoni

Con Carolina Crescentini e Giampiero Calderoni
A volte ricordare una persona appena scomparsa è un dovere morale, un impegno da onorare ad ogni costo; ma che la scelta di mettere per iscritto i propri ricordi nasca da un'istintiva e irrefrenabile necessità è cosa assai rara. Come lo era, per l’appunto, la persona di Giampiero Calderoni.
Per presentarlo non bastano parole come «cacciatore di vip», «collezionista di autografi» o «presenzialista» (il termine tecnico sarebbe «angolista», una fortunata definizione che l'amico film-maker Walter Ciusa ha mutuato dal poker), che pure riassumono con una certa esattezza la sua principale occupazione. Giampiero aveva ormai acquisito lo status di “personaggio pubblico”, ed era conosciuto in ogni parte d’Italia, forse più di quanto lui stesso immaginasse. Lo conoscevano ovunque come “il Prof.”, per via di una laurea in Economia e Commercio e di un passato da insegnante negli istituti tecnico-commerciali. Per noi che facevamo parte della sua banda era “il Sommo”, “il Boss”. Avrebbe voluto essere ricordato come «un uomo vissuto per lo spettacolo».
Dopo averne reso pubblica la scomparsa, sulla pagina Facebook che il suo ammiratore Luca Coralli aveva creato per lui nel gennaio 2011, ho assistito in presa diretta ad un inarrestabile e stupefacente passaparola, con una valanga di messaggi di cordoglio. Gli apprezzamenti alla pagina sono triplicati, e la notizia è stata ripresa dai quotidiani e da diverse radio locali. I cacciatori d’autografi sanremesi, particolarmente addolorati, mi hanno tutti detto di non riuscire ad immaginare il Festival della Canzone senza di lui.
Giampiero Calderoni ed Emir Kusturica
Il mio annuncio del 16 luglio, che inizialmente voleva essere laconico e distaccato, cominciava così: «Il professor Giampiero Calderoni è stato trovato senza vita nella sua casa di Imola nel pomeriggio di ieri, 15 luglio 2013. Chi lo conosceva ricorderà il suo humour nero e le sue battute spinte, ma questo non è uno scherzo». Dal giovedì della settimana precedente, aggiungevo, si era reso irreperibile. La sua assenza ad eventi a cui non avrebbe potuto mancare per nulla al mondo aveva preoccupato le persone che gli erano più vicine: due di loro, la faentina Barbara e il forlivese Marco, erano andati a cercarlo a casa e si erano decisi a chiamare i vigili del fuoco, che sfondata la porta ne avevano constatato la morte.
Nei sei anni di scorribande passati insieme, scrivevo, ho visto Lucio Dalla e Gianni Morandi salutarlo sempre con affetto e invitarlo generosamente ai loro spettacoli. Ho visto Lola Ponce rientrare all’Hotel Baglioni all’1.30 della notte e convincere Giò Di Tonno a ritirare fuori la chitarra dal fodero, per cantare davanti a lui: «Dedichiamogli un bel concerto, al Principe!». E ho visto un altro “Principe”, Francesco De Gregori, sempre così schivo e accigliato, avvicinarglisi nel retro del palco di Piazza Maggiore prima di un concerto e dirgli, quasi con premura: «Non senti niente da qui, devi andare là davanti».
La notizia della sua morte era stata riportata con una certa rilevanza anche nella cronaca del Resto del Carlino di Imola. Ma non avrebbe avuto la stessa eco se un’amica degli «angolisti», la giornalista di Repubblica Giorgia Olivieri, non avesse pubblicato un lungo articolo nell’edizione on line del giornale. Articolo che è arrivato sotto gli occhi di molti degli artisti che conosceva e delle più importanti personalità bolognesi. Hanno poi fatto seguito il Corriere, con una lunga photogallery, e Il fatto quotidiano. Gianni Morandi in persona, citando l’articolo di Repubblica sul suo profilo Facebook, gli ha infine reso un omaggio che lo avrebbe emozionato: «Conoscevo bene Giampiero, mi seguiva nei concerti. C’era sempre, il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. E’ venuto per due anni a Sanremo, quando conducevo io ed eravamo diventati amici. L’avevo visto poco tempo fa a Bologna. Mi mancherà… Ciao prof».
Grazie sempre a Giorgia Olivieri, il nome del Prof. era già comparso sulla stampa locale nel luglio 2010 (in un articolo intitolato Cacciatori d’autografi: anche appostarsi è un’arte), accanto a quelli degli altri componenti della banda: “il Matto” (Marco, il suo braccio destro, noto anche come “Lametta”, “Schwarzenegger” e “Unabomber”), “il Matis”, “Cavallino”, “Little Tony”, Luigi Finetti e il sottoscritto (ancora orfano di nome de guerre!). Mancavano alla lista di allora alcuni battitori liberi come “Bagnacavallo”, “l’Uomo Nero”, “il Catanese”, la già citata “Faentina”, “la Madre e il Figlio” e "il Monaco", alcuni dei quali non avevano ancora ufficializzato la loro stabile appartenenza al gruppo.
Avevo conosciuto il Professore «on the road», nel maggio 2007, al termine di un incontro con Morgan alle Scuderie di piazza Verdi. Pioveva, ed io mi ero offerto di accompagnarlo con l’ombrello per le vie della zona universitaria, sulle tracce del trasgressivo cantautore. A diciassette anni, non immaginavo che quel giorno avrebbe segnato uno spartiacque, nella mia vita; e oggi mi rendo conto di non avere ancora acquisito piena coscienza di cosa significherà non vedere più profilarsi all’orizzonte la sua barcollante figura barbuta.
Era un uomo esplosivo, nella corporatura come nel carattere. Esplodeva in fragorose risate e in spettacolari attacchi di collera. Possedeva un’eccezionale capacità di osservazione, a cui univa una memoria dalla portata ciclopica. Forte di un’esperienza cinquantennale, pianificava ogni nuova imboscata come fosse la prima, senza dare nulla per scontato. Appena lo conobbi, divenni per lui una sorta di fotografo personale: avevo il compito di immortalarlo al fianco del personaggio di turno e di fargli avere le foto in tempi brevi. Guai a stamparle in un tipo di carta diverso da quello cui era abituato: se ne accorgeva, e le rifiutava! Luigi Finetti, investito del compito di accompagnarlo in auto nei luoghi che non poteva raggiungere in treno, mi diceva che «lo viziavo». Ed era vero.
Una volta, infatti, Luigi non poté portarlo ad uno dei tanti concerti che si tenevano al Futurshow Station di Casalecchio. Così lui si rivolse a me con fare imperioso. Mi spiegò che se fosse tornato in stazione in autobus non sarebbe riuscito a prendere il treno di mezzanotte e mezzo per Imola, e avrebbe dovuto passare la notte a Bologna. Quella sera, però, avevo già un impegno con altri due amici, e poi dovevo vedermi con lo stesso Marco. Pur con qualche malumore, sembrò capire la situazione e non insistette. Forse si illuse di riuscire a tornare ad Imola comunque, magari abbandonando il concerto prima della fine, o più probabilmente continuò a coltivare la speranza di vedermi comparire sul posto, come un tassista improvvisato... Inutile dire che nulla di ciò avvenne.
Ma un destino inclemente volle che proprio quella notte andassi con Marco alla stazione, e che incontrassi Giampiero davanti alle scale del primo binario. Non impiegai molto tempo a capire che aveva perso il treno.
«Non farti neanche vedere! Tu sei un pezzo di merda!» urlò puntandomi l’indice contro, e attirando l’attenzione della fauna umana più variegata che si potesse trovare. Infatti ci si avvicinò un magrebino mezzo ubriaco e dall’aria confusa:  «Io conoscere lui… Lui buono… Cosa avere fatto tu a lui?»
«Niente, niente, è tutto a posto…», balbettavo io per sdrammatizzare.
«C’è che è un coglione! Diglielo anche tu che è un coglione!» continuava il Prof., implacabile.
Per fortuna quelle imprecazioni non ebbero seguito, il magrebino rinunciò alla mediazione e nel giro di un quarto d’ora tutto tornò alla normalità.
Giampiero Calderoni sul set di Un matrimonio di Pupi Avati 
È sempre vissuto ai margini, Giampiero Calderoni. Agli «angoli», per l’esattezza. Da molti anni aveva lasciato l’insegnamento – perché si era semplicemente «rotto le palle» – e viveva con i risparmi ereditati dalla madre. A vederlo girare per strada, sembrava l’ultima delle persone a cui si sarebbe potuta attribuire una qualche importanza. E davvero non so cosa darei per fargli sapere di quanto affetto fosse riuscito a circondarsi; perché di quell’affetto, in vita, non ha mai avuto nemmeno un vago sentore. Nei nostri racconti abbiamo ammantato la sua vicenda umana di una grazia che in realtà si manifestava solo in fuggevoli, impercettibili bagliori. Scintille di tenerezza che lui stesso, per una strana forma di pudore, soffocava con battute scurrili e frasi sprezzanti. Con noi “colleghi” era a proprio agio, è vero, e dava libero sfogo ai lati più capricciosi e grotteschi del suo carattere; ma non aveva mai smesso di sentirsi addosso gli sguardi di riprovazione della “gente normale”, e sono certo che nell’intimo gli pesassero, anche se si divertiva a sbeffeggiarli.
Gli restavano però gli artisti. Loro non lo avrebbero mai deluso. Era convinto che in lui vedessero quello che loro stessi sarebbero potuti diventare se una strana combinazione di talento, impegno e fortuna non li avesse portati alla notorietà. Come ha scritto anche Giorgia Olivieri, «per uno strano ribaltamento di ruoli, era il vip che lo andava ad omaggiare». Proprio così. I vip rendevano omaggio al freak. E gli aneddoti da raccontare sarebbero centinaia. Da Pippo Baudo ad Al Bano, da Lucio Dalla a Ligabue, passando per Massimo Ranieri, Ron, Cesare Cremonini, Max Pezzali, Biagio Antonacci, Irene Grandi, Francesco Renga, i Subsonica, Elio e le Storie Tese, Giovanni Allevi, Simone Cristicchi, Enzo Iacchetti, Red Ronnie: per lui erano tutti «amici».
«E tu da dove arrivi, dalla steppa?» gli chiese una volta, divertita, Valeria Golino.
Luigi Finetti, Al Bano e Giampiero Calderoni
Non si contano poi gli artisti del passato che aveva conosciuto e di cui poteva tracciare originalissimi profili caratteriali. Diceva di aver letto un solo libro fino all’ultima pagina: l’autobiografia di Vittorio Gassman, Un grande avvenire dietro le spalle, di cui vantava una copia firmata. Spesso ricordava anche di aver visto Walter Chiari dormire in macchina fino a pochi minuti prima dello spettacolo. «Io e te dobbiamo vederci sempre» gli disse qualche anno fa Enzo Garinei, abbracciandolo. «Tu porti fortuna!».
Di alcuni cantanti si era infatuato negli ultimi anni: i Sonohra su tutti. Altri, come l’inossidabile Morandi, non lo stancavano mai. E il grande Dario Ballantini rafforzò inconsapevolmente il suo sodalizio ideale col cantante di Monghidoro… Durante una festa in un famoso showroom di Calderara di Reno, Ballantini si esibì in un’imitazione di Morandi nella quale cantava Banane e lampone; nel momento clou del brano, si inginocchiò platealmente davanti a Giampiero: «Per fortuna io ho te, amore!».
Per concludere, una precisazione che a chi mi conosce parrà superflua. Non c’è un solo minuto di quelli trascorsi col Professore che consideri tempo perso. Anzi, rimpiango di non essere mai andato con lui a Sanremo. E di non poter riavvolgere il nastro per rivivere tutto daccapo.

Manuel Lambertini