giovedì 20 ottobre 2011

L’uomo dalla pistola d’oro

«Sic transit gloria mundi». Laconico e calzante il commento dell’ex-sodale italiano, Silvio Berlusconi. Così passa la gloria di questo mondo. Muammar Gheddafi è stato ferito e giustiziato sul posto da una folla in stato di isteria collettiva. Trascinato nella polvere. Spogliato della camicia da combattente. Calpestato. Difficile dire se a ucciderlo sia stata l’eccitazione dei ribelli o un preciso ordine del Consiglio nazionale di transizione. I capi degli insorti avevano dichiarato di volerlo catturare vivo, ma la sua ingombrante figura – anche nel più penoso dei processi farsa – non avrebbe rinunciato a mettere in imbarazzo le vecchie conoscenze della nuova Libia. Lui che era al potere dal ’69, tra voltafaccia e colpi di teatro, e che nella sua ultima primavera aveva assistito ad un numero impressionante di tradimenti. Primo fra tutti, quello di Mustafa Abd al-Jalil, ministro della Giustizia dal 2007 al 2011 ed oggi segretario del Cnt, bersaglio nel 2010 delle proteste di Human Rights Watch e Amnesty International.
Secondo le testimonianze dei presenti, l’ex rais implorava i suoi nemici: «Non sparate, non sparate». Lo ha confermato anche Mohammed Al-Bibi, il ventenne che avrebbe scoperto il tunnel dove si era nascosto, dopo che aerei Nato avevano messo fuori uso il convoglio che lo scortava. Galvanizzato dall’entusiasmo dei compagni d’armi, il ragazzo sorrideva davanti alle telecamere brandendo la pistola d’oro che il colonnello portava sempre con sè. Ma la ricostruzione degli avvenimenti è grossolana, non verificabile e non credibile, funzionale alla rimozione di una resistenza sorprendente, imprevista, prolungatasi fino alle estreme conseguenze, fino all’ultimo respiro. Versione contraddittoria e lacunosa, scandita da una ridda di voci contrastanti e offuscata da innumerevoli incongruenze. In alcune immagini si vede l’ex presidente della Jamahiriya camminare con le proprie gambe. In altre, girate poco dopo, lo si vede riverso a terra senza vita, coperto dalla polvere e dal sangue. Nessuna corsa in ambulanza, contrariamente a quanto dichiarato nelle prime ore, e nessun tentativo di salvargli la vita.
Non ci sono dubbi: il vecchio leone è morto con le armi in pugno. Seguitava a rivendicare la propria diversità rispetto agli altri leader arabi, Ben Ali e Mubarak in testa, e ha preferito l'onore alla vita. Fedele alla migliore tradizione della tragedia shakespeariana, si era asserragliato nella sua Sirte, al fianco degli ultimi fedelissimi, e non tra i Tuareg del deserto o in un qualsiasi altro esilio dorato. Stavolta è impossibile non associarsi all’epitaffio di Giuliano Ferrara: «Le persone sane di mente e di cuore sanno che è stato, oltre che un assassino, anche un grande combattente». E il vagito della Libia che verrà è ora inascoltabile, perché la primavera araba ha appena esalato l’ultimo respiro. Tra grigi burocrati, militari riciclati e inaddomesticabili sgherri col coltello tra i denti.

Manuel Lambertini

martedì 18 ottobre 2011

Andrea Zanzotto


Esistere psichicamente (1957)

Da questa artificiosa terra-carne
esili acuminati sensi
e sussulti e silenzi,
da questa bava di vicende
- soli che urtarono fili di ciglia
ariste appena sfrangiate pei colli -
da questo lungo attimo
inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
da tutto questo che non fu
primavera non luglio non autunno
ma solo egro spiraglio
ma solo psiche,
da tutto questo che non è nulla
ed è tutto ciò ch’io sono:
tale la verità geme a se stessa,
si vuole pomo che gonfia ed infradicia.
Chiarore acido che tessi
i bruciori d’inferno
degli atomi e il conato
torbido d'alghe e vermi,
chiarore-uovo
che nel morente muco fai parole
e amori.

                                   Andrea Zanzotto (10 ottobre 1921 – 18 ottobre 2011)

Manuel Lambertini