giovedì 31 gennaio 2013

Poesie d'amore e di rivoluzione

«La riproduzione, la diffusione, la pubblicazione su diversi formati e l’esecuzione di quest’opera, purchè a scopi non commerciali e a condizione che venga indicata la fonte e il contesto originario e che si riproduca la stessa licenza, è liberamente consentita e vivamente incoraggiata»… Sono perciò lieto di condividere qui il piacere regalatomi dalla lettura di Poesie d’amore e di rivoluzione, una raccolta di versi di Vladimir Majakovskij curata da Ilaria Pittiglio per Red Star Press.
Nato in Georgia nel 1893, trasferitosi a Mosca nel 1906, il poeta aderì giovanissimo al Partito Operaio Socialdemocratico di Russia e fu arrestato più volte per attività clandestina. Iscrittosi all’Istituto di Pittura, Scultura e Architettura di Mosca, fu tra i firmatari del manifesto del cubofuturismo russo, Schiaffo al gusto del pubblico: niente come un linguaggio autenticamente rivoluzionario avrebbe potuto porre le basi di una nuova «arte socialista». Al 1914 risale la pubblicazione della sua prima raccolta, Io, a cui seguirono La nuovola in calzoni e Flauto di vertebre, mentre è dell’anno successivo il suo primo incontro con Lilja Jurevna, moglie del critico letterario Osip Maksimović Brik, che sarebbe diventata la donna della sua vita. Dai componimenti di quegli anni trasuda l’entusiasmo con cui accolse la Rivoluzione d’Ottobre, e con la stessa passione si pose al servizio della Repubblica bolscevica. Il dramma Mistero buffo (1918) celebrava il trionfo degli operai e dei contadini sull’opulenza della borghesia, mentre il poema 150.000.000, che Majakovskij pubblicò anonimo, venne eretto a manifesto dell’internazionalismo proletario. A partire dal 1923 fu direttore delle riviste «LEF» e «Novyi LEF», nel 1924 terminò la stesura del poema Lenin e nel 1925 scrisse l’agit-poema Il proletario volante. Nel 1928 dette alle stampe il poema Bene!, in occasione del decennale della Rivoluzione. Ma negli ultimi anni di vita conobbe soprattutto delusioni e amarezze, che neppure la nuova relazione amorosa con la giovane attrice Veronika Polonsaja riuscì ad attenuare: due sue commedie satiriche, La cimice e Il bagno, vennero stroncate dalla critica ufficiale, e la sua decisione di lasciare il «Novyj LEF» fu stigmatizzata come tradimento. Molti dei compagni di un tempo boicottarono la mostra allestita per i suoi «Vent’anni di lavoro», inaugurata nel marzo 1930 al Club degli Scrittori di Mosca. Il 14 aprile 1930 si uccise con un colpo di pistola al cuore, affidando ad un breve scritto le ultime volontà: «Come si dice, l’incidente è chiuso. La barca dell’amore si è spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici».
«Se non avesse esasperato tutto non sarebbe stato un poeta» ha detto di lui la compagna e musa Lilja Brik. «Sentiva e viveva con forza iperbolica: amore, devozione, amicizia. Non si apriva facilmente, ma era calmo e tenero. Era infelice. Solo nei primi anni della rivoluzione visse con furore e lietamente, ma non sapeva accettare il declino, non sapeva rassegnarsi all’idea che la giovinezza è un attimo, e che il futuro è spesso mediocre».



ALL’AMATO SE STESSO DEDICA QUESTE RIGHE L’AUTORE

Le quattro.
Pesanti come un colpo.
«A Cesare quel ch’è di Cesare, a Dio quel c’hè di Dio».
Ma uno
come me
dove potrà cacciarsi?
Dove mi è stata preparata una tana?

Se fossi
Piccolo,
come il grande oceano,
sulle punte delle onde mi alzerei,
con l’alta marea accarezzando la luna.
Dove trovare un’amata,
Vladimir Majakovskij (Bagdadi, 7 luglio 1893 - Mosca, 14 aprile 1930)
che sia uguale a me?
Potrebbe trovar posto nel minuscolo cielo?

Oh, se povero fossi,
come un miliardario!
Che cos’è il denaro per l’anima?
È un ladro insaziabile dentro di lei.
All’orda sfrenata dei miei desideri
non basta l’oro di tutte le Californie.

Se balbettare potessi,
come Dante,
o Petrarca!
Per una sola accendere l’anima!
Comandarle coi versi di bruciare!
Le parole
e il mio amore
sarebbero un arco di trionfo:
pomposamente
senza lasciar traccia vi passerebbero
le amanti di tutti i secoli.

Oh, s’io fossi
sommesso
come il tuono;
gemerei,
abbracciando in un tremito il decrepito eremo terrestre.
Se io
urlerò con la mia voce immensa,
le comete torceranno le braccia fiammeggianti,
e giù si getteranno per la tristezza.

Coi raggi degli occhi rosicchierei le notti,
Vladimir Majakovskij e Lilja Brik nel 1915
s’io fossi
offuscato
come il sole!
Che brama provo
d’abbeverare col mio splendore
Il seno dimagrito della terra!

Passerò,
trascinando il mio grande amore.
In quale notte
delirante,
inferma,
da quali Golia fui concepito,
così enorme,
e così inutile?


1916
                          
                          Vladimir Majakovskij


 

Manuel Lambertini

lunedì 21 gennaio 2013

Elogi Funebri

I funerali di Prospero Gallinari, Coviolo (RE), 19 gennaio 2013
Che una cerimonia funebre possa essere oggetto di polemiche poltiche, almeno per quanto mi riguarda, va oltre ogni livello di tolleranza. Ma sembra essere la moda del momento. Solo una settimana fa si erano levati cori di indignazione alla notizia di Emma Bonino obbligata a pronunciare l’orazione funebre di Mariangela Melato all’esterno della Chiesa degli Artisti di Roma. Ed ora la lista di Antonio Ingroia in Emilia-Romagna rischierebbe la scissione perché due esponenti di Rifondazione Comunista, Alberto Ferrigno e Claudio Grassi, hanno partecipato alle esequie dell’ex brigatista Prospero Gallinari, attirandosi le ire di ciò che resta dell’Italia dei Valori... La presidente del gruppo Idv in consiglio regionale, ed ex vice-sindaco di Reggio Emilia, Liana Barbati, non ha usato mezze misure: «Chi ricopre cariche politiche o è candidato alle elezioni per rappresentare i cittadini non dovrebbe neanche a titolo personale partecipare al funerale di chi ha rappresentato un periodo così buio e triste per la nostra Repubblica». E ha aggiunto: «Se poi Grassi sarà eletto in Emilia-Romagna, dico subito a “titolo personale” che non mi rappresenta di certo. Mi auguro a breve ci sia una smentita o una parvenza di giustificazione. In caso contrario o fa un passo indietro, o Idv uscirà dal comitato provinciale a sostegno della Lista Ingroia, che si richiama a una rivoluzione civile, per l’appunto». La replica di Grassi è puntualmente arrivata: l’ex deputato si è detto sorpreso del fatto  che un semplice «atto di umanità» si sia potuto trasformare in un «caso politico». In sua difesa è intervenuto anche il segretario del Prc Paolo Ferrero.
Non fossimo in Italia – e non dovessimo sorbirci le quotidiane dichiarazioni di leader di partito pronti a criticare provvedimenti legislativi da loro stessi votati – ci sarebbe difficile credere che un funerale possa scatenare contrasti come questi, certamente lontani da conseguenze concrete ma a tutto vantaggio dei media e di un’endemica, implacabile disinformazione.
Prospero Gallinari era un membro del nucleo storico delle Brigate Rosse. Uno dei più irriducibili. Al suo nome restano legati la lettura del volantino di rivendicazione dell’omicidio del Procuratore di Genova Francesco Coco e il rapimento di Aldo Moro. Prima della confessione di Mario Moretti, era considerato l’esecutore materiale dell’assassinio dello statista democristiano. Un migliaio le persone che, a Coviolo, hanno partecipato al suo funerale, recitando le poesie del rapinatore-rivoluzionario Sante Notarnicola e intonando canti di altri tempi. Tra loro, il fondatore delle Br Renato Curcio, il leader di Potere Operaio Oreste Scalzone, e brigatisti di punta come Bruno Seghetti, Raffaele Fiore, Angela Vai, Barbara Balzerani, Roberto Ognibene, Loris Tonino Paroli. Una notizia di un certo rilievo, indubbiamente. Ma che i tg e i giornali non avrebbero dovuto enfatizzare e arricchire con le loro veementi quanto stucchevoli deplorazioni, come se qualcuno dei nomi citati rappresentasse ancora una minaccia alla sopravvivenza dello Stato. Si tratta, nella maggioranza dei casi, di persone che hanno saldato ogni debito con la giustizia (Renato Curcio, senza avere mai commesso omicidi, ha trascorso oltre vent’anni in cella), e a cui non si può certo imporre anche una sorta di ravvedimento coatto… Riconoscere in silenzio il loro diritto di onorare come meglio credono un coerente compagno di lotta è cosa assai diversa dall’approvarne i metodi e gli ideali. E avrebbe potuto essere il primo passo per una vera riconciliazione nazionale, nella più piena consapevolezza che la memoria storica di un Paese democratico non può escludere dal proprio specchio la verità degli sconfitti.


Manuel Lambertini