domenica 29 settembre 2013

«Come una lepre affamata». I settant’anni di Lech Wałęsa


Lech Walesa (Popowo, 29 settembre 1943)
«Sono soltanto un uomo, un uomo che vuole un po’ di giustizia, un tipo che vuole rendersi utile […] al di là delle frontiere, dei colori, delle ideologie. La lepre affamata non ha frontiere, non segue ideologie. Va dove trova il mangiare di cui ha bisogno e le altre lepri non le sbarrano il passo coi carri armati. Bisognerebbe imparare dalle lepri».
Era il 1981 quando Oriana Fallaci intervistava Lech Wałęsa. Al bavero della giacca teneva già appuntata la Madonna Nera di Częstochowa, che lo accompagna ancora oggi. Il sindacato cattolico Solidarność, fondato da Wałęsa e riconosciuto dal regime comunista polacco con gli Accordi di Danzica del settembre 1980, aveva organizzato una catena di scioperi che esponeva la Polonia al rischio di un intervento sovietico.
«Non le capita mai di essere spaventato, di sentirsi inadeguato?» gli chiese la Fallaci.
«Niè, niè, niè! Perché sono un uomo di fede e perché so che in questo momento c’è bisogno di me. Un tipo come me che sa prendere le decisioni con giudizio, risolvere i problemi in modo prudente. Non sono una testa calda, io» fu la risposta.
Ora quell’intervista è anche il filo conduttore di un film, Wałęsa. Man of Hope, del regista premio Oscar Andrzej Wajda, presentato alla 70esima Mostra del Cinema di Venezia alla presenza dell’ex presidente polacco. «Oggi in Polonia le nuove generazioni non lo conoscono», ha detto Wajda ai giornalisti. «Il film è soprattutto per loro, perché capiscano il valore della partecipazione attiva alla vita politica. E vorrei che Lech fosse un esempio, e una speranza, per tutti i movimenti dei giovani che in questi anni lottano per la libertà nei loro paesi». 
Oriana Fallaci e Lech Walesa, Danzica, 1981
La pellicola sfoglia ad un ritmo incalzante tutte le pagine della prima vita di Lech Wałęsa, mentre immagini di repertorio scorrono sulla note di un emblematico ritornello: «la libertà la amo e la capisco / la libertà non la so lasciare andare»... Classe 1943, famiglia contadina – suo padre morì ad Auschwitz quando lui aveva solo pochi mesi – e incrollabile fede cattolica, Lech Wałęsa era un semplice elettricista del cantiere navale Lenin di Danzica. Sposato con Danuta Gołoś dal 1968, la sua partecipazione agli scioperi del 1970 gli procurò un arresto a pochi giorni dalla nascita del primo dei loro otto figli. Perse il lavoro nel ’76, ma continuò ad animare i Sindacati liberi di Pomerania, considerati illegali dalle autorità, e fu più volte arrestato. Nell’agosto 1980 si mise alla testa dell’occupazione dei cantieri navali di Danzica e dello sciopero generale che alla fine dell’estate paralizzò la Polonia. Una lunga trattativa col governo sancì il riconoscimento dei Comitati di sciopero interaziendale, che confluirono in un sindacato cattolico di massa: Solidarność. Nel dicembre 1981, per scongiurare un possibile intervento militare sovietico, il governo del generale Jaruzelski proclamò la legge marziale: Wałęsa venne tenuto prigioniero per quasi un anno nella Polonia sud-orientale, al confine con l’Urss. Rilasciato nel novembre 1982, grazie anche alle pressioni di Papa Giovanni Paolo II, tornò in Polonia come «lavoratore semplice». Nel 1983 fu insignito del Premio Nobel per la Pace.
«Perché tutti questi intellettuali come consiglieri?», fu un’altra domanda della Fallaci.
«Eh! Perché se li tenessi fuori si metterebbero a scavar sottoterra come le talpe, e arriverebbero qui lo stesso. E allora io li faccio entrare subito. L’importante è non averne soggezione. Ed io non ce l’ho. Perché gli intellettuali discutono cinque ore e arrivano alla stessa conclusione a cui io ero arrivato in cinque secondi».
Un risvolto, questo, al quale il regista del film è parso molto legato: «Lech è il primo operaio che nella storia del nostro Paese abbia svolto un ruolo fondamentale: normalmente a spingere verso la democrazia sono gli intellettuali e l’aristocrazia. Ma finché hanno agito loro, ogni tentativo di liberare la Polonia dal giogo della schiavitù è finito con un insuccesso. E invece Lech Wałęsa ci ha portati alla liberazione senza spargimenti di sangue». 
Lido di Venezia, 6 settembre 2013
Al grande film di Wajda, peraltro non imputabile di agiografia acritica, manca però l'ultimo Wałęsa. Il negoziatore degli Accordi della Tavola Rotonda (1989), che segnarono l'inizio della liberalizzazione del sistema politico polacco. Il presidente della Polonia postcomunista che, eletto nel 1990, tentò invano di riformare la Costituzione in senso semipresidenziale e che fu marginalizzato dalla vita politica dopo una guerra ai vertici dello stato consumatasi a colpi di dossier e di veleni. Ed infine l'uomo che negli ultimi anni si è perlopiù distinto per posizioni bizzarre e ultraconservatrici; che alle elezioni presidenziali americane del 2012 ha sostenuto il candidato repubblicano Mitt Romney; che ha esternato il desiderio di veder relegati i deputati omosessuali al Parlamento polacco nell'ultima fila di scranni, «vicino al muro, oppure dietro». È figlio di un'altra epoca il Lech Wałęsa che oggi compie settant'anni. E ricorda al mondo intero che non esiste essere umano a cui la Provvidenza lasci impresso il proprio sigillo per sempre.

Manuel Lambertini

venerdì 20 settembre 2013

Aspettando Tony Harrison

Alla morte di Ted Hughes, nell’ottobre 1998, la Corona britannica perse il poeta laureato in carica, la figura tradizionalmente investita del compito di tessere le lodi della famiglia reale e dell'Impero. Come suo successore, dalle pagine del Guardian venne avanzata la candidatura di Tony Harrison, poeta libertario, operaista e antimonarchico, nato nel 1937 in una modesta famiglia di Leeds, celebre per uno stile dissacrante e maccheronico. Il diretto interessato reagì alla sua maniera. In versi. Compose un poemetto di venticinque quartine a rima alternata molto simile alla sceneggiatura di un film, L’in-ceppo del laureato (1999), a perpetua memoria di una fiera irriverenza. Vi compaiono l’illustre predecessore Thomas Grey, che nel 1757 rifiutava l’umiliazione di diventare «accalappiatopi per Sua Maestà»; sua moglie, attrice impegnata a vestire panni di Elisabetta nel Riccardo III di Shakespeare; la sovrana attuale e il principe Carlo; e anche il «tirapiedi» Andrew Motion, che sarà poi chiamato a ricoprire il prestigioso incarico di Poet Laureate per i dieci anni successivi. Il finale del poema è un inno alla libertà venato di un’ironia amara e leggera.

Tony Harrison (Leeds, 30 aprile 1937)
L’in-ceppo del laureato

                                          Alla regina Elisabetta

Mi costerna vedere il mio nome sui giornali
fra i candidati per un lavoro che non cerco.
I cigni possono essere domestici, muti o mansueti
ma nessun custode di cigni mi segnerà il becco.

Mi irrita specialmente che la cosa succeda
sul Guardian dove pubblicai
la mia Ode per l’abdicazione di Carlo III auspicando
che l’Inghilterra sia finalmente repubblica. 

Ho scritto quanto sopra iersera, ma quanto segue
l’ho scritto il brutto giorno che Ted Hughes morì
e per togliermi di lista faxerò il testo
al Guardian che lo metterà spero in bella vista:

Certo ispirato dal Tg delle tredici
il libraio antiquario, ignorando i miei librini,
sposta tutti i suoi Ted Hughes di seconda mano
Ted Hughes, Crow, 1970.
dallo scaffale «Poesia» alla vetrina.

La morte di un poeta fa paura agli altri poeti,
dà il timor mortis di Dunbar, e il terrore
di passare ai remainders senza essere letti,
ma almeno Crow è qui composto con ogni onore,

la copertina in vista, non solo il dorso.
Almeno i tuoi libri li mettono in mostra.
Dubito che faranno lo stesso per i miei,
mentre compro quattro tomi di un vecchio Thomas Gray.

Ted Hughes
(Mytholmroyd, 17 agosto1930 - Londra, 28ottobre 1998)
Ho appreso qui a Stratford che Ted è morto,
e ho desiderato il mio amore, incastrata sulla scena
a far la parte della regina Elisabetta nel Riccardo III,
per non rattristarmi pensando che ho quasi l’età di Ted.

Mentre lei passava in rassegna gli orrori più sanguinari,
infanticidi, stupri, ambizioni di troni,
ho passeggiato un po’ sulle rive dell’Avon.
Il sacchetto di plastica con Gray mi pesava in mano.

Le zampe dei cigni pestavano il fango dell’alzaia.
Non si arrischiavano sull’Avon per paura
del fiume in piena, si spaccherebbero il collo
scaraventati dalla corrente nella chiusa.

Mentre il mio amore dava due recite del Riccardo III
mi sono coricato e ho letto dall’inizio alla fine
tutti e quattro i tomi di Gray, trovando le parole
le qualità saponacee del vin secco

in una lettera che val la pena di conoscere
specie per i giornalisti poco pratici di versi
che si chiedono quale poeta dopo Hughes
avrà il posto che Gray non crederebbe possa ancora esserci.

Potrei, data la pratica, parafrasare
nelle quartine abab della sua Elegia,
queste osservazioni di Thomas Gray
ma le cito in prosa, testuali.

Per quanto io sappia bene le blande emollienti saponacee qualità del vin secco e dei quattrini, tuttavia se un grand’uomo mi dicesse «Ti farò accalappiatopi per Sua Maestà, con un salario di trecento sterline l’anno e due botti del miglior Malaga, e per quanto sia costume, in ossequio alla tradizione, accalappiare uno o due topi in pubblico ogni anno, tuttavia nel vostro caso signore non faremo storie per questo», non credo che mi getterei sulla cosa.; e persino se lasciassero cadere il nome stesso dell’incarico, e mi chiamassero Sinecura di sua Maestà, credo mi sentirei ancora un po’ impacciato, e penserei che tutti quelli che incontro sentono su di me l’odore di ossa di topo…
Fino ad oggi l’incarico ha sempre umiliato chi lo ha accettato (anche in un’età quando un re era qualcuno), se era uno scrittore mediocre rendendolo più cospicuo, e se era bravo mettendolo in guerra con i pesciolini della sua professione, perché ci sono poeti abbastanza piccoli da invidiare persino un poeta laureato.
(19 dicembre 1757)

Così diceva Gray, due e più secoli or sono,
con pensieri che trovo molto simili ai miei
e chiunque conosce le mie opere saprebbe
quali parole di Gray io sottolineerei.

E il nuovo accalappiatopi per la regina attuale,
che a palazzo deve aver molti topi svelti e grassi,
anche se si lava e deodora dopo ogni battuta
Ritratto di Thomas Gray
porta un’uniforme di prezzolato che puzza di ratto.

Non deve esserci successore di Ted Hughes.
«Le qualità saponacee del vin secco»
sono puro veleno se i poeti stipendiati perdono
la libertà perché prezzolati dalla Corona o dal Capo di Gabinetto.

Né Carlo deve succedere alla regina presente
così risparmiandoci l’ode d’incoronazione di un adulatore.
Vorrei che tutte le odi di questo tipo che si son mai scritte
fossero mandate al macero da una democratica nazione.

Ci sono poeti monarchici che ci proveranno?
Forse avranno in cambio del loro fegato una giarrettiera.
Non mi sentirete sospirare di invidia.
Piuttosto essere libero e niente damigiane,

libero di non dover gonfiare il matrimonio di un principe,
libero di mandare a quel posto Tony Blair,
di scrivere un’ode sulla decapitazione di Carlo I
e deprecare la restaurazione del suo erede

(la settimana scorsa speravo che gli aspiranti laureati
quel gregge di tirapiedi bravi a promuovere se stessi
affilassero i loro talenti sull’ascia del boia
ma sembra esserci l’epidemia dell’in-ceppo del laureato:

è vero che il 30 gennaio 1649
è una data difficile da usare per candidarsi,
comunque l’anniversario del regicidio è passato senza un verso
da tirapiedi come Andrew Motion, che divinizzò Lady D),
Andrew Motion (Londra, 26 ottobre 1952)

libero di scrivere ciò che penso deve essere scritto
libero di coprire di disprezzo Downing Street,
libero di attaccare la Gran Bretagna di Blair
(e di allitterare scompostamente come qui!),

libero di scrivere esattamente come voglio
e ascoltare i fantasmi di Milton e Thomas Gray.
Non rimpiangiamo per le poesie da laureato
Ted Hughes o altri che ebbero quel posto in passato.

E libero, una volta che Riccardo è caduto e Richmond salito
sul trono malconcio con in capo una corona ammaccata
e intorno vedove pallide e distrutte dal dolore,
quando la mia regina si è tolta il cerone e viene a letto,

di baciare la mia dedica, calda di scene
di furia regale, rabbia, lotte…, baciarne via
(come baciamo gli uguali e non le regine)
il gusto amaro del dramma sanguinario di Shakespeare.

La morte di un poeta fa paura agli altri poeti,
la morte di un re ai re, ma sotto le mie lenzuola,
c’è la regina Elisabetta, e giù dal letto
tombolano queste quartine e i quattro tomi di Gray.

   Tony Harrison

               [1999]


Tony Harrison è l’ospite d'onore del Poesia Festival 2013, dal 19 al 22 settembre, organizzato dall’Unione Terre di Castelli e dai Comuni di Castelfranco Emilia, Maranello e Vignola.

Manuel Lambertini