lunedì 13 aprile 2015

Eduardo Galeano


Celebrazione del nascere incessante

Eduardo Galeano
 (Montevideo, 3 settembre 1940 - Montevideo, 13 aprile 2015)
Ritratto di Erin Currier.
Miguel Mármol servì un altro giro di rum Matusalemme e mi disse che era una commemorazione: la memoria brindava ai cinquantacinque anni della sua fucilazione. Nel 1932, un plotone di esecuzione l’aveva annientato per ordine del dittatore Martínez.
«Ho già sulle spalle ottantadue anni», disse Miguelito, «ma non me accorgo nemmeno. Ho molte fidanzate. Me le ha ordinate il dottore.»
Mi raccontò che aveva l’abitudine di destarsi prima dell’alba, e che non appena apriva gli occhi si metteva a cantare, a ballare e a ciabattare, e la cosa non piaceva punto ai vicini del piano di sotto.
Ero andato da lui per portargli l’ultimo volume di Memoria del fuoco. La storia di Miguelito è il cardine sul quale ruota il libro: la storia delle sue undici morti e delle sue undici resurrezioni, lungo tutta la sua vita recidiva. Fin dalla sua nascita a Ilopango, in Salvador, Miguelito è la più calzante metafora dell’America Latina. Come lui, l’America Latina è morta e rinata tante volte. Come lui, continua a nascere.
«Ma di questo», mi disse, «non è il caso di parlare. I cattolici mi dicono che è tutto merito della Provvidenza. E i comunisti, i miei compagni, mi dicono che è tutto merito della coincidenza.»
Gli proposi di fondare insieme a me il marxismo magico: metà ragione, metà passione. E la terza metà, mistero.
«L’idea non sarebbe malvagia», mi disse.

Eduardo Galeano, Il libro degli abbracci,  2005.



Oggi ci hanno lasciato Gunter Grass e Eduardo Galeano, due autori il cui passaggio influenzò profondamente la visione che intere collettività - la Germania del dopoguerra per il primo, l'America Latina per il secondo - avevano di se stesse.
La vita e l’opera di  Galeano sono un canto di lotta, liberazione, fratellanza, amicizia, speranza. In una parola, un canto di felicità. Perché felicità è lottare.
Ciao Eduardo.
Grazie.

sabato 11 aprile 2015

Judith Malina

Judith Malina (Kiel, 4 giugno 1926 - Englewood, New Jersey, 10 aprile 2015)
Con la scomparsa di Judith Malina la controcultura americana del ‘900 ha perso una delle sue icone più tenaci e appassionate. Impossibile renderle un giusto tributo senza rievocare l’intensa stagione in cui, con il marito Julian Beck, animò il rivoluzionario progetto del Living Theatre: più che una compagnia teatrale, una comune di attori e artisti, insediatasi nella New York del secondo dopoguerra e decisa ad estendere gli orizzonti dell’avanguardia espressionista al mondo della vita quotidiana.
Nata a Kiel nel 1926, in una famiglia ebraico-tedesca, Judith Malina era emigrata negli Stati Uniti con i genitori; aveva poi frequentato la scuola del grande drammaturgo Erwin Piscator: di qui l’incontro con Beck e la nascita, nel 1947, del nucleo storico del Living Theatre. 
Poco più che ventenni, Julian e Judith dettero vita ad un teatro lontanissimo dai lustrini di Broadway. Il teatro di poesia dei primi anni ’50 cedette presto il passo ad una forma di metateatro che – anche con la rivisitazione dell’opera di Pirandello – puntava al diretto coinvolgimento del pubblico. Riscoprirono poi l’eredità di Antonin Artaud e il teatro della crudeltà, in cui la violenza del mondo reale veniva esorcizzata e condannata attraverso la sua rappresentazione. Se The Connection (1959) raccontava la giornata di un eroinomane, in The Brig (1963) i membri della compagnia accettarono di sottoporsi ad autentiche vessazioni, frustati e umiliati dalla stessa Malina, per lo sconcerto e la pietà degli spettatori.
Dopo un processo politico e alcune settimane di detenzione, nel 1964 i fondatori del Living Theatre intrapresero un viaggio in Europa che si sarebbe protratto fino al 1970: gli spettacoli realizzati in quel periodo – Mysteries and Smaller Pieces (1964), Frankenstein (1965), Antigone (1967) e Paradise Now (1967) – furono un’imprescindibile fonte di ispirazione per le contestazioni giovanili del Sessantotto. Nel 1969 Beck e Malina presero anche parte al film collettivo Amore e rabbia, nell’episodio Agonia, diretto da Bernardo Bertolucci. Tra le pellicole a cui Judith Malina avrebbe partecipato nel corso degli anni, da ricordare Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975) di Sidney Lumet – al fianco dell’adorante amico Al Pacino –, China Girl (1987) di Abel Ferrara, Radio Days (1987) di Woody Allen, Risvegli (1990) di Penny Marshall e soprattutto La famiglia Addams (1991) di Barry Sonnenfeld.
Judith Malina e Julian Beck in carcere in Brasile (1971)
Rimandato il ritorno negli Usa, e dopo numerose defezioni in seno alla compagnia, i coniugi Beck si trasferirono nel Brasile oppresso dalla dittatura militare. Con l’intento di realizzare un «teatro da guerriglia» rivolto al sottoproletariato delle periferie, cominciarono la lavorazione dell’ambizioso ciclo L’eredità di Caino, che sarebbe proseguita per tutto il decennio successivo senza essere mai portata a compimento. Arrestati nel ‘71 con l’accusa di possesso di droga, furono espulsi dal Paese dopo due mesi di carcere.
Ma per Judith Malina la prova più difficile si presentò all'inizio degli anni ’80, quando al marito fu diagnosticato un cancro allo stomaco: Julian Beck morì il 14 settembre 1985, all'età di sessant'anni, lasciando a Judith la pesante responsabilità di portare avanti il grande progetto del Living. Le si affiancò Hanon Reznikov, che nel 1988 divenne il suo secondo marito. Anche a lui si dovette l’ancor più febbrile attività degli anni successivi: stabilitosi sulla Terza Strada di Manhattan, il Living realizzò nuovi spettacoli di denuncia sociale come Humanity, Rules of Civilty, Echoes of Justice e The Zero Method.
Dopo un altro periodo itinerante, tra il 1999 e il 2003 la compagnia si stabilì in Italia, nella provincia di Alessandria, dove videro la luce Anarchia, Utopia, Capital Changes e Not in my name, feroci atti d’accusa contro la guerra, lo sfruttamento del sistema capitalistico e la pena di morte. Durante i giorni del G8 di Genova andò poi in scena Resist Now!, a sostegno della protesta no global. Neanche l’improvvisa morte di Reznikov, nel maggio 2008, abbatté l’impegno dell’infaticabile Judith: da sola terminò la realizzazione di Eureka! e nel 2010 scrisse Red Noir, coltivando ancora nuovi piani di lavoro.
Bologna, 8 luglio 2013
Prima che le condizioni di salute e l’indigenza la costringessero a ritirarsi presso la Lillian Booth Home, una casa di riposo per artisti del New Jersey, era tornata in Italia un’ultima volta nel 2013. A Bologna, dove aveva assistito a una proiezione dell’Edipo re di Pasolini – con l’amato Julian Beck nei panni dell’indovino cieco Tiresia – e ricordato le vittime della strage di Ustica con uno spettacolo recitato insieme a Silvia Calderoni della compagnia riminese Motus, The plot is the revolution. Dalla sua piccola sedia a rotelle, anche in quell’occasione, dette prova di uno spirito sempre battagliero, mai piegato dagli anni e dagli eventi. A chi le chiese di definire il Living Theatre rispose che era sempre stato una «lotta per l’azione, per dare potere agli spettatori»: «Ora li chiamiamo partecipanti, sempre di più il nostro teatro diventa esperienza in cui i partecipanti possono far sentire il loro potere di cambiare, con la speranza che quando finisce lo spettacolo portino fuori il bisogno di opporsi a ciò che è contro il loro sentimento e il loro desiderio».