mercoledì 12 febbraio 2014

Freak

Diverso con orgoglio
di Andrea "Bellafronte" Setti & Roberto "Freak" Antoni

Non posso, davvero non posso
considerarmi omologato
accettare il compromesso
le chiare regole del mercato     

Non riesco a vendermi
c’è qualcosa che mi impedisce
forse è coscienza, forse è demenza
ma è forte, non si zittisce

Perché non partecipo al successo
e al suo contorno d’esaltazione??
non vado mai a nessun congresso
mi difetta la partecipazione
Lontano dai giochi del Potere
dalle comode poltrone per il sedere
Via dai manager rampanti
dalle loro mogli imbarazzanti

Sono diverso, da poco l’ho scoperto
solo adesso mi rendo conto
di appartenere a un altro mondo
(Sono consapevole: odio l’intrallazzo
e il convenevole!!!)
Sono diverso e con orgoglio
perché è diverso quello che voglio
(Sono anormale, se sbadiglio al concetto di
“Villaggio Globale”???)

È inutile che io tenti di fare il furbo
non sono scaltro, non sono accorto
forse sembrerò anche patetico
se anche il fisico è poco atletico

C’è chi mi ritiene inadeguato
e, in aggiunta: sprovveduto
per questo oggi e nel passato
mi hanno già del tutto escluso

Perché mi sento così maldestro
perché mi considero incapace (?)
non ce la faccio a vedermi corrotto
non voglio trasformarmi in un rapace
né accettare tanti compromessi
piuttosto rimango tra i cosiddetti “fessi”
mi riconosco nel modello alternativo
anche senza la posa del trasgressivo.

Roberto "Freak" Antoni, Non c’è gusto in Italia ad essere dementi, Bologna, Pendragon, 2005.


L’ultima volta che ho visto Roberto "Freak" Antoni è stato al Biografilm Festival di Bologna, nel giugno dell’anno scorso. Ero con il signor Luigi Finetti, suo ammiratore di lunghissima data. "Freak" ci passò accanto con un vaso di fiori in mano e disse: «Toh, mi hanno regalato una piantina!».
«Diventerà grande come te!» gli urlò Finetti.
«Crescerà proprio tanto, allora…» replicò lui tra lo scettico e il divertito. Poi se ne andò via di buon passo. "Freak" Antoni non era solo il genio di cui tutti ora parlano. Era anche un maestro del politicamente scorretto. Un tipo così anticonformista da provare ostilità per l’anticonformismo. «Le sue poesie riflettono, mi sembra, soprattutto la sua lontananza dal mostruoso sussiego del modo di vivere contemporaneo: che è, a ben vedere, il vero "demenziale"», ha detto di lui Michele Serra.
Perciò ricordarlo con sussiego nel giorno della morte sarebbe quanto di più oltraggioso. Rimane però il fatto che, per avercelo dato e per avercelo tolto così presto, «Dio ci deve delle spiegazioni».

mercoledì 5 febbraio 2014

William S. Burroughs’s Birthday Party

William S. Burroughs (Saint Louis, Missouri, 5 febbraio 1914  Lawrence, Kansas, 2 agosto 1997)

Giorno del Ringraziamento
28 novembre 1986

Grazie per il tacchino e per i piccioni viaggiatori, destinati ad essere cacati attraverso le sane budella americane – grazie per un Continente da saccheggiare e avvelenare – grazie per gli indiani che ci procurano quel tanto di stimoli e di pericoli – grazie per le immense mandrie di bisonti da uccidere e scuoiare, lasciando le carcasse a marcire – grazie per le laute ricompense sui lupi e i coyotes – grazie per il SOGNO AMERICANO da involgarire e falsificare fin quando la nuda menzogna non vi risplenda attraverso – grazie per il KKK, per gli uomini di legge, per le rispettabili signore-casa-e-chiesa con le loro facce meschine, smunte, sgradevoli, perverse – grazie per gli adesivi “Ammazza un frocio in nome di Cristo” – grazie per l’AIDS da laboratorio – grazie per il Proibizionismo e la Lotta contro la Droga – grazie per un paese dove a nessuno e dato di badare ai fatti propri – grazie per una nazione di spie-sì, grazie per tutti i ricordi… va bene, facci vedere le tue braccia… sei sempre stato un problema, c’hai proprio rotto i coglioni – grazie per l’ultimo e più grande tradimento dell’ultimo e più grande dei sogni umani.

William S. Burroughs, Vicolo del Tornado,1989 


Avevano provato a “cooptarlo” nel Tempio della Grande Letteratura Americana quando era ancora vivo. Prima i “colleghi” Norman Mailer – che lo considerava «l’unico romanziere americano a cui si possa plausibilmente attribuire genio» – e James G. Ballard – per il quale era «il più importante scrittore emerso dopo la Seconda Guerra Mondiale». Poi l’American Academy of Arts and Letters, che nel 1983 lo incluse tra i propri membri. Ma William Seward Burroughs era un «drogato omosessuale pecora nera di buona famiglia», e tale volle restare. Tutta l’opera da lui prodotta, diceva, era rivolta «contro coloro che sono intenti, per stupidità o per programma, a far saltare in aria il pianeta e a renderlo inabitabile». Il suo Pasto Nudo, pubblicato nel ‘58, era nato come un’araba fenice da frammenti di testi che Ginsberg e Kerouac avevano ritrovato nella sua abitazione di Tangeri, dove si era trasferito dopo ininterrotte peregrinazioni. Burroughs – Old Bull Lee per gli amici beatniks – è morto nell’agosto 1997. Oggi avrebbe compiuto un secolo di vita. Altro da aggiungere? Una parola sì. Grazie.

Manuel Lambertini