sabato 28 febbraio 2015

Tra fracasso e silenzio

Leggere oggi questi versi di Wisława Szymborska – a oltre tre anni dalla morte della grande poetessa polacca, di cui La fine e l’inizio (1993) fu l’ultima opera data alle stampe prima dell’assegnazione del Premio Nobel, nel 1996 – significa vedersi scorrere davanti agli occhi le immagini degli sgozzamenti dell'Isis, raffinatissime nella tecnica, o le colonne di carri armati ucraini schierate lungo il Donbass, dove torna a farsi vivo il «contrasto tra sangue rosso e neve bianca». Perché più di ogni altro sentimento l’odio sa scaldare il cuore dell’uomo, «sa creare bellezza». Riempie le piazze e gli stadi. Scrive pagine di storia. Si serve della giustizia e ha l’ultima parola sulla fratellanza, sulla compassione, sul dubbio.


L’odio
di Wisława Szymborska

Guardate com'è sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l’odio.
Con quanta facilità supera gli ostacoli.
Come gli è facile avventarsi, agguantare.

Non è come gli altri sentimenti.
Insieme più vecchio e più giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno.
L’insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforza.

Religione o non religione –
purché ci si inginocchi per il via.
Patria o no –
purché si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all'inizio.
Poi corre tutto solo.
L’odio. L’odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.

Oh, quegli altri sentimenti –
malaticci e fiacchi.
Da quando la fratellanza
può contare sulle folle?
La compassione è mai
giunta prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.

Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?

Diciamoci la verità:
sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera.
Magnifiche le nubi degli scoppi nell'alba rosata.
Innegabile è il pathos delle rovine
e l’umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.

È un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio,
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.

In ogni istante è pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspetterà.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro
 – lui solo.

Wisława Szymborska, La fine e l’inizio, 1993.