giovedì 31 ottobre 2013

Quando Fellini spense la Luna


In morte di Federico Fellini
Federico Fellini
(Rimini, 20 gennaio 1920 - Roma, 31 ottobre 1993)

Quando muore Fellini il grido è forte,
Spacca la terra che improvvisa piange,
Lacrime dal Marecchia fino al Gange
Alluvionano il mondo alla sua morte.

Quel giorno dimmi chi non lacrimava?
Nemmeno la persona, la più frigida,
Pianse Rondi co’ Akira Kurosawa,
Pianse la Loren con la Lollobrigida.

Pianse Anita e Marcello, pianse il Sole,
Pianse Mollica lacrime a bizzeffe,
Pianse anche i verbi e tutte le parole
Che, quel giorno, cominciavano per effe.

Quando muore il maestro d’Amarcorde,
Anche i poeti abbassano le teste,
Era più bello lui d’Harrison Forde,
Era più sexy lui di Mae Weste.

Era leggero come Cavalcanti,
Saggio come i filosofi tedeshi,
Umano come sanno esserlo i santi,
Profondo come Fjodor Dostoesky.

Elegante, narciso, mai avaro,
Lui era insieme Topolino e Pippo.
Lugubre come Antonio Fogazzaro,
Federico Fellini e Roberto Benigni
sul set de La voce della Luna (1990)
Buffo come Peppino De Filippo.

Quando dava l’azione con un rombo,
Il set si illuminava d’alabastro,
Era come Cristoforo Colombo,
Un condottiero come Fidel Castro.

Lo studiavano le psicanaliste
Ma a lui nessuno mai tolse le brache.
Fellini aveva più forza di Maciste
E più immaginazione di Mandrake.

Dolce come Verlaine, come Beatrice,
e maledetto come James Dean.
Casto della purezza di Euridice,
E intelligente come RinTinTin.

M’han detto ch’era morto, ebbi uno shocke,
come se fosser morte le albicocche!
Fellini, m’hai avviluppato con le tue passioni
E per saluto estremo ti dirò,
Citando un bel refrain di Little Tony,
Che t’amo, t’amo, t’amo e t’amerò!

                                                    Roberto Benigni

Accadeva vent’anni fa, il 31 ottobre 1993. Il giorno prima ricorrevano i cinquant’anni di matrimonio con l’attrice Giulietta Masina, che sarebbe scomparsa nel marzo dell’anno successivo.  Alle esequie di entrambi il trombettista Mauro Maur eseguì le musiche di Nino Rota, l’Improvviso dell’Angelo e La Strada.
E ai versi di Benigni fecero eco le parole dell’amico e concittadino Sergio Zavoli, che da allora non avrebbe più smesso di onorare la memoria del maestro: «La scomparsa di Fellini ha qualcosa di innaturale, come se un’estate, di colpo, smettessero di farsi udire i grilli, il mare, gli uccelli. Come se le lucciole smettessero di palpitare nel grano. […] Continueremo ad aspettare che dall’orizzonte vengano i tuoi sortilegi: donne come capodogli, padri come fantasmi, navi come castelli, e poi fughe di Bach e marcette di clown, innocenze e ludibri, cielo imbronciato e azzurre nevicate primaverili».

Manuel Lambertini


domenica 27 ottobre 2013

Il Paese del «Gattopardo»

Ricorrono i cinquant'anni da quando il romanzo italiano più venduto del XX secolo, Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo da Feltrinelli nel 1958, venne elevato a capolavoro cinematografico da Luchino Visconti. Nei prossimi giorni la pellicola sarà proiettata in oltre settanta sale italiane, in una versione restaurata dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con The Film Foundation di Martin Scorsese. E nel marzo 2014 l’Accademia delle arti e della scienza del cinema di Los Angeles assegnerà l’Oscar alla carriera al costumista Piero Tosi, a coronamento di un’avventura umana e professionale che ha pochi confronti nel panorama mondiale.
La storia di Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, Duca di Querceta, Marchese di Donnafugata, continua a incantare il pubblico e a sollevare annosi interrogativi sull’ineluttabile ciclicità della storia. Con la sconfitta dell’aristocrazia terriera siciliana, costretta ad accettare l’annessione al Regno d’Italia e la compenetrazione di elementi borghesi nelle sue stesse strutture familiari – tramite il matrimonio del giovane Tancredi con Angelica, la figlia del facoltoso sindaco di Donnafugata – si assiste al perpetuarsi degli antichi rapporti di potere e di prevaricazione. Una trasformazione a cui Don Fabrizio rifiuta di prendere parte, terminando i suoi giorni in un volontario, avvilente isolamento.
L’opera di Tomasi di Lampedusa non è però sopravvissuta al suo autore in una forma del tutto compiuta. In coda al romanzo, un capitolo mai terminato avrebbe dovuto contenere 17 sonetti nei quali sarebbe stato svelato l’amore di Don Fabrizio per la bellissima Angelica. Quello che segue è il più eloquente dei sonetti ritrovati.


Quando in un vecchio cuore Amor discende
lento procede e fra l’ingombro triste
di sepolte speranze a pianto miste
deve aprirsi la strada; e mummie orrende

di vizzi affetti sbarran le sue piste.
S’insedia alfine, strappa le sue bende:
negli occhi ha sol una beffa ch’offende
non più, com’ebbe, voluttà intraviste.

Tiranno in gioventù, boia in vecchiezza
non più di vita messo ma di morte,
suscita pene, orror, vergogna, liti.

Io soffro, piango, impreco e lui disprezza;
mi strazia con torture e con ritorte,
fiero mi seguirà sui neri liti.



Manuel Lambertini