giovedì 27 gennaio 2011

Prelati ed Eretici

Il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Sua Eminenza Cardinal Angelo Bagnasco, mi ha fatto venire in mente un articolo di Josè Saramago intitolato «Vaticanate». Lo dico subito: di questo centro-sinistra disapprovo la vibrante soddisfazione con cui sembra aver accolto gli ambigui ammonimenti che la Chiesa avrebbe indirizzato al Presidente del Consiglio. Ammetto di essere assai affezionato ad alcune espressioni della Chiesa cattolica – i preti operai, la teologia della liberazione, il Cardinal Tonini e poco altro… – e il mio istintivo anticlericalismo non arriva mai al viscerale disgusto di cui molte persone hanno dato prova. Ma il discorso di Bagnasco sul caso Ruby è di fatto un capolavoro di doppiezza morale e di cerchiobottismo politico.
«Ha detto tante cose Gesù», scrisse qualche anno fa Eugenio Scalfari. «Forse i laici dovrebbero promuovere un raduno di massa intitolato al suo nome per vedere fino a che punto la Chiesa di oggi abbia ancora il diritto di usarlo. E per capire se i cammelli riescano a passare nella cruna dell'ago o se quella cruna non sia diventata una ampia autostrada dove i cammelli transitano al galoppo con tutto il carico delle loro ricche mercanzie».
L’intelligenza del Cardinal Bagnasco è tuttavia cosa nota, e mi colpì molto quando, al Meeting di Rimini del 2008, assistetti ad una sua conferenza. Erano presenti anche Maurizio Lupi, Giancarlo Galan e Sandro Bondi. Dall’inflessibile contegno con cui si rivolge al pubblico e alla stampa, e dall’affilata sottigliezza del linguaggio, a volte trapela il malcelato autocompiacimento di chi conosce la propria furbizia. Ascoltatene attentamente le parole, e poi leggetevi quelle di Saramago. Queste ultime non potrebbero essere più definitive.



Angelo Bagnasco: «Come ho già più volte auspicato, bisogna che il nostro Paese superi, in modo rapido e definitivo, la convulsa fase che vede miscelarsi in modo sempre più minaccioso la debolezza etica con la fibrillazione politica e istituzionale, per la quale i poteri non solo si guardano con diffidenza, ma si tendono tranelli in una logica conflittuale che perdura ormai da troppi anni. Si moltiplicano notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro e si esibiscono squarci, veri o presunti, di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza, mentre qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine. In tale modo, passando da una situazione abnorme all’altra, è l’equilibrio generale che ne risente in maniera progressiva, nonché l’immagine generale del Paese. La collettività infatti guarda sgomenta gli attori della scena pubblica e respira un evidente disagio morale».

Josè Saramago: «Non sopporto di vedere i signori cardinali e i signori vescovi abbigliati con un lusso che scandalizzerebbe il povero Gesù di Nazareth, mal coperto dalla sua tunica di pessimo panno, per quanto inconsutile fosse e certamente non era, senza ricordare la delirante sfilata di moda ecclesiastica che Fellini, genialmente, ha messo in Otto e mezzo per suo e nostro diletto. Questi signori si ritengono investiti di un potere che solo la nostra pazienza ha fatto durare. Si dicono rappresentanti di Dio in terra (non lo hanno mai visto e non hanno la minima prova della sua esistenza) e si spostano per il mondo trasudando ipocrisia da tutti i pori. Forse non sempre mentono, ma ogni parola che dicono o scrivono ne ha dietro un’altra che la dissimula o la perverte. A tutto ciò in molti ci eravamo più o meno abituati prima di passare all’indifferenza, se non al disprezzo. Si dice che vada rapidamente diminuendo la gente che assiste alle cerimonie religiose, ma io mi permetto di suggerire che saranno sempre meno anche quelle persone che, pur non essendo credenti, entrano in una chiesa per godere della bellezza architettonica, delle pitture e delle sculture, insomma di uno scenario che la falsità della dottrina che lo sostenta in fin dei conti non merita. […] Davanti al lento ma implacabile affondamento di questo Titanic che è stata la Chiesa cattolica, il papa e i suoi accoliti, nostalgici del tempo in cui imperavano, in criminale complicità, il trono e l’altare, ricorrono ora a ogni mezzo, compreso quello del ricatto morale, per immischiarsi nell’attività governativa dei paesi, in particolare quelli che, per ragioni storiche e sociali, non hanno ancora osato recidere la soggezione che persiste nel tenerli legati all’istituzione vaticana». (J. Saramago, Il Quaderno, Bollati Boringhieri, Torino, 2009, pp. 146-147).

Manuel Lambertini

mercoledì 26 gennaio 2011

Mario Scaccia

A Mario Scaccia la vita ha risparmiato l'umiliazione di chi vede svanire la propria lucidità. E noi non possiamo che ricordare, con immensa gratitudine, il privilegio di aver potuto gustare fino all'ultimo i frutti del suo straordinario talento. A novant’anni, questo mattatore del teatro italiano continuava a calcare le scene, e dispensava emozioni e sorrisi con una generosità tutta votata al divertimento. Se ne è andato questa notte, al Policlinico Gemelli, per le complicazioni seguite a un intervento chirurgico. Un male incurabile lo aveva costretto a sospendere lo spettacolo Interpretando la mia vita, che era andato in scena al Teatro Arcobaleno di Roma fino al dicembre scorso.
Figlio di un noto pittore, era nato nella capitale nel 1919. Iscrittosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica nel 1945, dopo aver trascorso in Africa gli anni della Seconda Guerra Mondiale, esordì nel ’46 con Woyzeck di Büchner e si diplomò nel ‘48. In quasi settant’anni di carriera, spaziò dal teatro al cinema, dagli sceneggiati televisivi alla conduzione radiofonica. Entrato nella Compagnia Anton Giulio Bragaglia del Teatro Ridotto di Venezia, recitò accanto a Erminio Macario e a Vittorio Gassman. Lavorò anche con Ettore Petrolini, di cui molti anni più tardi interpretò Chicchignola, e con Eduardo De Filippo, che eccezionalmente gli permise di utilizzare il suo camerino del Teatro San Ferdinando di Napoli.
Da raffinato caratterista, prese parte a innumerevoli film, senza disdegnare nulla di ciò che era popolare: da La fiammata (1952) di Blasetti, che ne segnò l’ingresso nel mondo del cinema, a Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio (1983) di Luciano Martino, passando per Il mattatore (1960) e A porte chiuse (1961) di Risi, A ciascuno il suo (1967) e La proprietà non è più un furto (1973) di Petri, e Le farò da padre (1974) di Lattuada, fino al film collettivo Signore e signori, buonanotte (1976), in cui interpreta il Cardinal Piazza-Colonna nell’episodio Il Santo Soglio. Per Luigi Comencini, dopo aver partecipato al film Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (1969), recitò anche nel celebre sceneggiato tv Le avventure di Pinocchio (1972).
Ma la parte migliore della sua inesauribile vitalità si riversò sul teatro. Risale infatti al 1961 la nascita della Compagnia dei Quattro, che Scaccia fondò insieme a Valeria Moriconi, a Franco Enriquez e a Glauco Mauri. Da Molière a Goldoni, da Machiavelli a Ionesco: oltre al già citato Chicchignola di Petrolini, il maestro Scaccia prestò il proprio volto al Fra’ Timoteo della Mandragola, all’Arpagone dell’Avaro, all’ebreo Shylock del Mercante di Venezia e persino a Madame Latour de Il signore va a caccia di Feydeau.
Negli ultimi tempi, la sua proficua collaborazione con l’editore bolognese Paolo Emilio Persiani aveva permesso la pubblicazione del dvd La mandragola, per la regia di Edoardo Sala, e dell’autobiografia Interpretando la mia vita. Nel blog dell’istrionico artista, curato dalla stessa casa editrice, si legge che la morte di Scaccia avviene «in concomitanza con l’uscita del suo ultimo libro, Per amore di una rima», una raccolta di poesie nella quale vengono presentati al pubblico «i versi che il maestro ha scritto dalla fine degli anni ‘30 fino ai nostri giorni». Se potesse commentare questa fortuita coincidenza, il grande Mario Scaccia non esiterebbe a congratularsi con il giovane editore… E mentre fioccano i messaggi di cordoglio da parte delle istituzioni e del mondo della cultura, torna alla memoria una saggia massima di Sant’Agostino, già sottoscritta da Mario Monicelli, alla quale l'illustre defunto è rimasto fedele tutta la vita: «Nutre la mente soltanto ciò che la rallegra».

Manuel Lambertini

venerdì 21 gennaio 2011

Bunga-Bunga



Eleonora De Vivo: ... l'ho visto un po’ out
Imma De Vivo: l'ha visto un po’ ingrassato, capito? Imbruttito, capito?...
Eleonora De Vivo: sta più informa di solito, fino all'anno scorso stava più informa, adesso sta
proprio più di là che di qua...
Imma De Vivo: (ine) negli ultimi tempi eie
Eleonora De Vivo: eh lo so, ma appunto per questo, è diventato pure brutto, deve solo
sganciare...
Imma De Vivo: deve solo sganciare, brava...
Iris Berardi: speriamo che per il compleanno sia generoso, io non gli regalo un cazzo...
Eleonora De Vivo: nemmeno io dopo l'ultima volta...

In questi ultimi giorni non si parla d’altro. Alla sentenza della Consulta sul legittimo impedimento, conclusasi con una parziale bocciatura, hanno fatto seguito i risvolti giudiziari del già noto Rubygate. Silvio Berlusconi è indagato per concussione e prostituzione minorile insieme all’agente dei vip Lele Mora, al direttore del Tg4 Emilio Fede e a Nicole Minetti, ex igienista orale del premier e oggi consigliere regionale del PdL in Lombardia.
I pubblici ministeri ritengono che il Presidente del Consiglio abbia ricevuto da Ruby Rubacuori – al secolo Karima El Mahroug – prestazioni sessuali in cambio di denaro, e che abbia esercitato indebite pressioni sui funzionari della Questura di Milano. La Procura ha deciso di ricorrere al rito immediato, formula che generalmente richiede un gran numero di elementi probatori. Dopo aver sorprendentemente rivelato di avere una relazione stabile, Berlusconi non ha esitato a minacciare la magistratura, annunciando che non si presenterà all’interrogatorio dei Pm.
Le intercettazioni raccolte sulla vicenda, in ogni caso, non sembrano lasciare molto spazio all’immaginazione… «Una massa di deficienti che ballano come delle mongoloidi»: così una ragazza descrive le partecipanti alle “sobrie” cene di Arcore. L’ex prefetto di Napoli Carlo Ferrigno, invece, nel fare gli auguri di compleanno a un amico nato lo stesso giorno di Berlusconi, arriva subito al punto: «auguri di vero cuore… mi dispiace solo che i tuoi auguri coincidono con quelli di quello stronzo lì». «Di chi, di Berlusconi?». «Sì sì guarda, che uomo di merda». Ed ecco il resoconto: «Tre uomini e 28 donne... facevano le orge lì dentro... Tutte in braccio a Berlusconi, seminude... e la Minetti col seno fuori che baciava Berlusconi in continuazione, insomma proprio un puttanaio eh, e tre che sono rimaste a letto con Berlusconi».
Ancora più dettagliata è la ricostruzione di un’ex compagna di scuola della Minetti, che definisce «allucinante» la serata trascorsa col premier: «a me è scaduto moltissimo, mi sembrava di aver di fronte non lui ma una caricatura del Bagaglino». Qualcuno, seduto alla pianola, canta; poi, «a un certo punto», quasi all’improvviso, «qualcuna ha iniziato a far vedere il sedere e da lì la serata è decollata». «Dopo la cena sentii alcune delle ragazze dire “Scendiamo al Bunga-Bunga”», continua la studentessa, descrivendo un salone adibito a discoteca con «divanetti, un palo da lapdance, una sorta di banco bar e dei bagni» popolati da fanciulle in «abiti succinti». Qui le giovani ospiti, secondo quanto emerge anche da altre testimonianze, «si avvicinavano al presidente seduto sul divanetto muovendosi in maniera provocante a distanza ravvicinata, si strusciavano e si facevano toccare», baciandosi tra loro in «atteggiamenti lesbici». Poi il padrone di casa le chiede se si sta divertendo. «Sinceramente non tanto», risponde la ragazza. Ed il racconto prosegue: «Il presidente mi disse che era sua intenzione aiutarmi negli studi, al che mi regalò due cd di Apicella. Lì per lì non mi resi conto subito che contenevano una busta bianca con 4 banconote da 500 euro. Rimasi sorpresa e imbarazzata, e me ne andai». «Non me lo dai un bacino?», le avrebbe chiesto invano il premier.
Un’altra ragazza racconta di essere stata invitata a Villa Certosa per fare «l'infermiera ufficiale»; in una conversazione, riferisce tutte le indicazioni ricevute da Lele Mora: «Devi prenderti un camicione da dottoressa... con sotto niente ovviamente... Ti metti lo stetoscopio, la camicina da infermiera e sotto le autoreggenti bianche... Sai quanto si diverte lui per una cosa del genere... il finto malato!».
L’intercettazione più significativa è però quella in cui una ragazza, al telefono con Nicole Minetti, esprime preoccupazione per il proprio futuro: «Tu bene o male hai il tuo lavoro, guadagni tot... non te lo leva nessuno. A me, se non mi mette, che cavolo faccio? Sto in Comune per altri 5 anni a guadagnare 600 euro? E quante cose possono capitare in 2 anni? Lui può sparire... può succedergli qualcosa... sta cambiando il governo... Se mi dice di aspettare, gli dico che ho aspettato 5 anni [...] Basta! Poi sì, per l'amor del cielo, ci sta costruendo una carriera, però bisogna vedere se poi va in porto ‘sta carriera! E se non va in porto? Rimango con la laurea e un calcio nel sedere come tanti altri ragazzi...».
Come nel recente passato, i festini coinvolgerebbero schiere di starlette più o meno conosciute, dalle gemelle Imma ed Eleonora De Vivo, concorrenti alla sesta edizione dell’Isola dei Famosi, a Marysthelle Garcìa Polanco e Florina Marincea, note per aver partecipato a La pupa e il secchione, fino alla meteorina Alessandra Sorcinelli. E ai nuovi pettegolezzi si mescolano le vecchie storie… «Il Bunga-Bunga sono io», si è affrettata a dichiarare l’attrice Sabina Began, negando le tanto chiacchierate orge di Villa San Martino. Le ha fatto eco Evelina Manna, che a Berlusconi deve una raccomandazione in Rai, complice Agostino Saccà. Dalle sue rivelazioni affiora il lato più tenero del Cavaliere, che non va mai a letto senza una mentina in bocca: dormivano insieme a “seggiolina”, abbracciati stretti stretti.
E Ruby? Anche lei si rivolgeva a Berlusconi chiamandolo «Papi», come Noemi Letizia; e all’amico che la sfotte, precisa: «Quella è la pupilla, io sono il culo». A un’altra amica confida: «Lui mi ha chiamato ieri dicendomi: “Ruby, ti do quanti soldi vuoi, ti pago, ti metto tutta in oro, ma l'importante è che nascondi tutto, non dire niente a nessuno”. E per me può essere mafioso o quello che vuole, l'importante è che a me mi sta riempiendo di soldi... sta cambiando la mia vita, cazzo». Ancora: «con il mio avvocato gli abbiamo chiesto 5milioni di euro in cambio del fatto che passo per pazza e lui ha accettato». Durante un controllo, la polizia ha trovato 5mila euro in contanti nella borsetta di Ruby: secondo gli inquirenti, e soprattutto alla luce di intercettazioni telefoniche piuttosto esplicite, quelle 10 banconote da 500 euro proverrebbero dall’ufficio di Giuseppe Spinelli, il ragioniere di Berlusconi. Molte persone vicine a Ruby, del resto, hanno già testimoniato l’intimo rapporto che la legherebbe al Presidente del Consiglio. Emilio Fede aveva già incontrato la giovane marocchina durante il concorso di bellezza «Una ragazza per il cinema», svoltosi in provincia di Messina nel settembre 2009; e nel dvd della manifestazione, è lo stesso Fede a parlarne: «Sottolineo, c’era una ragazza di 13 anni, se non sbaglio, egiziana, mi sono commosso, ho solidarizzato...». Ruby, che in realtà aveva 16 anni, era stata invitata sul palco proprio dal direttore del Tg4, «particolarmente colpito dalla sua storia narrata nella selezione». Dulcis in fundo, parlando con la Minetti, lo stesso Berlusconi si sarebbe lasciato scappare frasi scottanti: «Non importa, tanto non potranno mai dimostrare che io sapevo che è minorenne».
Adesso Ruby nega tutto: intervistata da Alfonso Signorini a Kalispera, ha affermato di vivere due vite parallele, di essersi spacciata per egiziana e di non avere rivelato la sua vera età a Silvio Berlsuconi. Come da copione, non sono mancate le lacrime: la ragazza non è riuscita a parlare dell’attuale fidanzato senza commuoversi, dopo aver rivelato di essere stata violentata da due zii paterni. Ma il padre sembra averla già smentita: «Io ho solo un fratello».

P.S.
La libertà sessuale era e deve restare una bandiera della sinistra. Dopo aver difeso Roman Polanski dagli accanimenti della giustizia americana, sarebbe del tutto incoerente riservare ad altri il trattamento opposto. Né dovremmo lasciarci sedurre dalla tentazione di cavalcare gli ammonimenti del cardinal Bertone, quasi volessimo opporre al premier un potere retrogrado e non meno amorale. Le serate di Berlusconi, oltre a strappare qualche sorriso, trasmettono un vago senso di solitudine e di tristezza. Se fossi al suo posto, mi sentirei più innocente che mai (anche considerando gli altri procedimenti penali!). Tuttavia, per l’era berlusconiana non potremmo immaginare un finale migliore, un contrappasso più giusto: dopo anni di leggi ad personam, il Presidente del Consiglio deve oggi rispondere di un reato – la prostituzione minorile – per il quale il suo stesso governo ha inasprito le pene. Indipendentemente dagli esiti del processo, siamo convinti che per l’imputato sia giunto il momento di godersi le ville di Antigua, e di trascorrervi il resto della vita come meglio crede. Lasci però alla giustizia italiana, o almeno all’indignazione delle persone oneste, i suoi falsi amici, i suoi tirapiedi. Dopo quindici anni di menzogne e di abusi, è il minimo che gli si possa chiedere.
Manuel Lambertini

domenica 16 gennaio 2011

Rosso Colore

Agli operai e ai militanti Fiom di Mirafiori, ai loro volti rigati dalle lacrime, alla battaglia che hanno dovuto combattere da soli e a quelle che il futuro richiederà a tutti noi.



Rosso Colore
[P.A. Bertoli - A. Borghi]

Caro amico, la mia lettera ti giunge da lontano,
dal paese dove sono a lavorare,
dove son stato cacciato da un governo spaventoso
che non mi forniva i mezzi per campare;
ho passato la frontiera con un peso in fondo al cuore
e una voglia prepotente di tornare,
di tornare nel paese dove son venuto al mondo,
dove lascio tante cose da cambiare.
E mi son venute in mente le avventure del passato,
tante donne, tanti uomini e bambini,
e le lotte che ho vissuto per il posto di lavoro,
i sorrisi degli amici e dei vicini;
e mi sono ricordato quando giovani e felici
andavamo lungo il fiume per nuotare,
e Marino il pensionato ci parlava con pazienza,
aiutandoci e insegnandoci a pescare.
Caro amico, ti ricordi quando andavo a lavorare,
e pensavo di potermi già sposare,
e Marisa risparmiava per comprarsi il suo corredo,
e mia madre l'aiutava a preparare;
ed invece di sposarci tra gli amici ed i parenti,
l'ho sposata l'anno dopo per procura,
perché chiusero la fabbrica e ci tolsero il lavoro
e ci resero la vita molto dura.
Noi ci unimmo e poi scendemmo per le strade per lottare,
per respingere l'attacco del padrone;
arrivati da lontano, poliziotti e celerini
caricarono le donne col bastone;
respingemmo i loro attacchi con la forza popolare,
ma, convinti da corrotti delegati,
ci facemmo intrappolare da discorsi vuoti e falsi,
e da quelli che eran stati comperati.

E mi viene da pensare che la lotta col padrone
è una lotta tra l'amore e l'egoismo,
è una lotta con il ricco, che non ama che i suoi soldi,
ed il popolo che vuole l'altruismo;
e non contan le parole che si possono inventare,
se ti guardi intorno scopri il loro giuoco:
con la bocca ti raccontano che vogliono il tuo bene,
con le mani ti regalan ferro e fuoco.
Caro amico, per favore, tu salutami gli amici,
ed il popolo, che è tutta la mia gente;
sono loro il vero cuore, che mi preme ricordare,
che rimpiango e che mi ha amato veramente;
verrà un giorno nel futuro che potremo ritornare,
e staremo finalmente al nostro posto,
finiremo di patire, non dovremo più emigrare
perché un tale ce lo impone ad ogni costo.
E salutami tua madre, dai un abbraccio a tua sorella,
chissà come sarà grande e signorina;
e lo so, sarà bellissima come son le nostre donne,
sanno vivere con forza che trascina;
ma - le hai mai guardate bene? - ti sorridono col cuore,
negli sguardi non nascondono timore,
dove sono però uniche è sul posto di lavoro,
son con gli uomini e si battono con loro.
Ho pensato tante volte che c'è un senso a tutto questo,
quest'amore non ci cade giù dal cielo;
ma parlando della vita, e pensando al mio paese,
mi è sembrato come fosse tolto un velo,
e mi pare di sapere, e finalmente di capire,
nella vita ogni cosa ha un suo colore,
e l'azzurro sta nel cielo, ed il verde sta nei prati,
ed il rosso è il colore dell'amore…



Questa canzone me l’ha fatta ascoltare per la prima volta mio padre. É figlia di un tempo molto diverso dal nostro e, fin dal titolo, utilizza un linguaggio alquanto desueto. Chiunque avverta un'istintiva repulsione  per l’ideologia, come nel mio caso, potrebbe commettere l'errore di liquidarla senza le dovute attenzioni. Perchè nel testo di Pierangelo Bertoli non sembra mancare proprio niente di quello che la società ci riserva oggi… Ci sono i giovani che fuggono all’estero e le difficoltà a metter su famiglia. Ci sono «i corrotti delegati», «i discorsi vuoti e falsi» di «quelli che eran stati comperati»: «e non contan le parole che si possono inventare, / se ti guardi intorno scopri il loro giuoco: / con la bocca ti raccontano che vogliono il tuo bene, / con le mani ti regalan ferro e fuoco». C’è anche «il ricco che non ama che i suoi soldi», un supermanager da 38,8 milioni di euro che agli operai della catena di montaggio «impone ad ogni costo» turni di lavoro insostenibili, negando loro il diritto di sciopero e la rappresentanza sindacale. Mancano, invece, «i sorrisi degli amici e dei vicini». Manca la solidarietà tra chi subisce le più degradanti ritorsioni. E manca soprattutto la politica, mai come oggi soggetta al controllo dei poteri economici, in quell'eterno conflitto che un tempo si chiamava lotta di classe.

Manuel Lambertini

giovedì 13 gennaio 2011

L’incanto buono

Questa poesia di Edoardo Sanguineti, nel giorno del referendum sull’accordo di Mirafiori, sarà scolpita sulla pietra tombale dinanzi a cui avranno degna sepoltura il diritto di sciopero e la libertà sindacale. I nostri nonni pensavano di avere consegnato queste conquiste all’eternità. Credevano di averle incise per sempre nel marmo della storia, affidandole alle premure della Carta Costituzionale. Non è andata così. E oggi, nell’apatia e nella disinformazione generali, potrebbero essere cancellate da un ricatto, da un diktat che si fa scudo della globalizzazione per trasformare le organizzazioni sindacali in uffici stampa al soldo delle aziende. Che godano, Angeletti e Bonanni, per questa contropartita al di sopra di ogni aspettativa!


Ballata dell’incanto buono

che cosa chiede, qui al vecchio compagno,
il giovane compagno, quando chiede?
incantami, incantatemi, gli chiede:
incanto buono, per vivere, chiedo:

che cosa dice, qui il vecchio compagno,
quando risponde, al giovane compagno?
c’è il pluslavoro e il plusvalore, dice:
c’è gli sfruttati, e massa di riserva:

non è un incanto il sogno di una cosa:
capire il mondo, che tu ti modifichi:
paesi di cuccagna non sognare:
odio di classe, qui è l’incanto buono:

che cosa chiede, qui il vecchio compagno,
al giovane compagno, quando chiede?
gli chiede, i vecchi padri vendicare:
vecchia preistoria, chiede, cancellare:

                                                                            Edoardo Sanguineti

Manuel Lambertini

martedì 11 gennaio 2011

Lietta Tornabuoni

Mentre Michael Douglas annunciava ai microfoni della Nbc di aver sconfitto il cancro, al Policlinico Umberto I di Roma si spegneva una delle firme più prestigiose della critica cinematografica italiana. Lietta Tornabuoni, come hanno riportato le agenzie, era stata ricoverata in ospedale alcune settimane fa, dopo essersi sentita male durante una proiezione.  Improvvisamente aggravatasi nella giornata di ieri, e minata da tre arresti cardiaci, la sua salute non ha retto.
Giulietta Tornabuoni, per tutti Lietta, era nata a Pisa il 24 marzo 1931. Discendeva da una nobile famiglia toscana, e da quella Lucrezia Tornabuoni che aveva dato alla luce Lorenzo il Magnifico. Giornalista dal 1950, aveva esordito come cronista nei settimanali «Noi Donne» e «Lavoro»; era poi passata alla Rizzoli, presso «Annabella», «Novella» e «L’Europeo», lavorando anche per il «Corriere della Sera» e, fino all’ultimo, per «L’espresso». Dal 1970 faceva parte della redazione de «La Stampa»: nel 1989, alla morte dell’amico Stefano Reggiani, divenne il critico cinematografico titolare del grande quotidiano torinese. A segnalarla era stato Gianni Agnelli, complice un articolo in cui Lietta citava Tamara Lees e Dorian Gray, due attrici molto amate dall’Avvocato e di cui nessuno parlava più.
Dei suoi libri, oltre a Sorelle d’Italia (Bompiani, 1977), si ricordano soprattutto Era Cinecittà (Bompiani, 1979) e Album di famiglia della tv (Mondadori, 1981), scritti con Oreste Del Buono. Curò, inoltre, due importanti pubblicazioni, Federico Fellini. La voce della luna (La Nuova Italia, 1990) e Federico Fellini (Rizzoli, 1995). Quest’ultimo ripercorre i progetti non realizzati del maestro riminese: la grande giornalista ne parlò a lungo in un memorabile incontro svoltosi al MAMbo di Bologna nel giugno 2010, durante la mostra Fellini. Dall’Italia alla Luna.
Il cinema l’aveva conquistata sin dall’infanzia: «Conoscevo a memoria tutto Roma citta aperta, che io e i miei fratelli recitavamo: mio fratello faceva Maria Michi, io Harry Feist, il colonnello nazista. Da allora il film di Rossellini mi è rimasto nel cuore: ancora oggi quando lo vedo, alla scena in cui Anna Magnani insegue il camion, mi vengono le lacrime agli occhi». Qualche anno fa, «Film Tv» pubblicò a puntate una carrellata di (auto)ritratti riguardanti i critici italiani: Lietta Tornabuoni fu la settima a raccontarsi, con aneddoti simili a quello appena riportato. Prima figura femminile in un ambiente dominato da uomini, si fece conoscere per uno stile semplice, quasi elementare, che acquisì familiarità tra gli appassionati di cinema.
 «Quello del critico è un lavoro bellissimo», scrisse ancora in quell’occasione. «È un’idea sbagliata che sia un lavoro “facile”, per pigri. Magari… Ti tocca vedere tutti i film, anche quelli pessimi (e ormai sono tanti) e poi scriverne in modo informato e obiettivo. La stroncatura è un facile esercizio di scrittura, ma non serve a nessuno se non a chi la scrive, che si mette in mostra. […] Due sono le limitazioni principali per un critico, oggi: gli spazi, sempre più ridotti. E la cultura dei lettori. Devi raggiungere ogni fascia di pubblico, anche chi non sa, quindi non usare parole difficili, nomi che non siano spiegati. Scrivere in modo chiaro e facile è una priorità. Molti colleghi non lo fanno. Ma disapprovo: significa avere come punto di riferimento altri colleghi e non i lettori».

Manuel Lambertini

domenica 9 gennaio 2011

Cultura leghista

In questi ultimi giorni, la politica italiana si è dovuta confrontare con un evento del tutto inaspettato: la Lega Nord ha scoperto gli effetti dei tagli alla cultura. Da maligni, dubitavamo persino che i suoi dirigenti e i suoi sostenitori conoscessero gli effetti della cultura tout court, e nessuno pretendeva che contestassero un provvedimento che li avrebbe solo favoriti... Per dirla con Umberto Eco, «che cos’è il leghismo se non la storia di un movimento che non legge?».
Lontani dall’aderire a una concezione esclusivista di «cultura», la stessa che i militanti di quel partito inconsapevolmente utilizzano per promuovere lo scontro di civiltà, pensavamo che la Lega si riconoscesse solo nel raduno di Pontida o nei grotteschi rituali che ogni anno conducono Bossi alle sorgenti del Po. Da ignoranti, credevamo che quest’orda di galli cisalpini e di nuovi druidi alternasse il crocifisso ai riti celtici senza una precisa ragione, solo sulla base di occasionali opportunità politiche.
Però adesso dovremmo ravvederci! Il leghista Flavio Tosi, che fino ad ora si era potuto fregiare solo di una condanna definitiva per propaganda razzista, ha deciso di sguainare la spada come un moderno Alberto da Giussano per difendere l’Arena di Verona, della cui Fondazione il sindaco è presidente. Il tempio della lirica italiana, infatti, rischia di chiudere per bancarotta, dopo aver terminato l’ultima stagione con una perdita di 2,6 milioni di euro.
A dire il vero, gli amministratori locali leghisti – tra cui lo stesso Tosi, il presidente della Regione Piemonte Roberto Cota e quello del Veneto Luca Zaia – avevano già manifestato un tiepido dissenso verso la manovra economica; ma lo stato maggiore del Carroccio si era stretto intorno al ministro Tremonti, uomo di specchiata confessione federalista.
Indignato dai tagli indiscriminati del governo Berlusconi, il sindaco Tosi si è accorto che anche la sua Verona è stata tranciata di netto dall’implacabile scure di Roma ladrona, e che a farne le spese potrebbe essere l’istituzione più prestigiosa della città. «I casi sono due – ha puntualizzato Tosi – o l’Italia, che è un Paese che vive anche di cultura e di lirica, fa i conti seriamente con questo dato, oppure qui si rischia di mandare a ramengo l’intero comparto». Stando alle sue dichiarazioni, anche l’opposizione di centro-sinistra dovrebbe combattere insieme a lui questa battaglia, invece di approfittare della situazione per contestare l’amministrazione comunale... Non starà forse chiedendo al Pd di dimenticare la responsabilità dei ministri e dei sottosegretari leghisti nelle scelte politiche del governo, in complicità con i parlamentari del Terzo Polo e della “nuova destra europea” guidata da Gianfranco Fini?
Su scala nazionale, tale prospettiva potrebbe preludere a una nefasta convergenza del Pd e della Lega sul federalismo, allungando irrimediabilmente la vita al governo.  Che cosa farà il più grande partito di opposizione? Abboccherà anche all’esca leghista, dopo aver rincorso per mesi l’Udc? O sceglierà finalmente di opporsi con la dovuta decisione a quel federalismo che, se approvato, permetterebbe al Cavaliere e ai suoi alleati di umiliare per altri tre anni tutto ciò che è cultura?

Manuel Lambertini

domenica 2 gennaio 2011

Ricordando Saramago


Il Premio Nobel Josè Saramago vedeva la Rete come un’inesauribile fonte di libertà. Dedicargli il primo articolo di Murale mi è sembrato doveroso. A ottantacinque anni questo grande della letteratura aveva deciso di dare vita ad un blog, per il piacere di pascolare sulle praterie di Internet «come uno dei tanti blogger del cyberspazio». E con l’intenzione di gettarvi le sementi che avrebbero nutrito le future generazioni.
Memorabili le sue riflessioni sul nostro Paese, e in particolare l’articolo intitolato Fino a quando,  o Berlusconi, abuserai della nostra pazienza?. In quell’occasione Saramago riprendeva le parole che Cicerone aveva scagliato contro il cospiratore Catilina, rincarando la dose con una lucidissima accusa: «Il Catilina odierno, in Italia, si chiama Berlusconi. Non ha bisogno di dare la scalata al potere perché è già suo, ha soldi abbastanza per comprare tutti i complici che siano necessari, compresi giudici, deputati e senatori. E’ riuscito nella prodezza di dividere la popolazione dell’Italia in due: quelli che vorrebbero essere come lui e quelli che già lo sono. Ora ha promosso l’approvazione di leggi assolutamente discrezionali contro l’immigrazione illegale, mette pattuglie di cittadini a collaborare con la polizia nella repressione fisica degli immigrati privi di documenti e, massimo dei massimi, vieta che i figli di genitori immigrati siano iscritti all’anagrafe. Catilina, il Catilina storico, non avrebbe fatto di meglio» (J. Saramago, L’ultimo quaderno, Feltrinelli, 2010, pp. 62-63).
A seguito di articoli come questo, la casa editrice Einaudi non pubblicò Il Quaderno, l’imperdibile opera – poi diffusa da Bollati Boringhieri – nella quale Saramago aveva raccolto gli interventi apparsi sull’omonimo blog. Nell’ottobre 2009 il grande scrittore venne in Italia e, ospite di Serena Dandini a Parla con me, raccontò la sua verità. Disse che i dirigenti della Einaudi avevano accettato di  sottoporsi ad un’operazione di autocensura perché intimiditi dagli avvocati di Berlusconi. Quando la conduttrice accennò alla necessità di un contraddittorio che coinvolgesse i difensori del premier, Saramago la interruppe con risolutezza: «No. In questo caso il contradditorio non è necessario. Perché se loro venissero qui, mentirebbero».
Perché ricordare un episodio simile, apparentemente insignificante tra le tante belle pagine che l’illustre portoghese ci ha regalato? In primo luogo, perché  l’autore di Cecità dimostrava di aver capito con quale razza di persone ci si debba confrontare in Italia. Forse non aveva mai visto in faccia Niccolò Ghedini o Gaetano Pecorella, ma aveva vissuto sotto la dittatura di Salazar e certamente conosceva lo sfacciato servilismo degli uomini di regime. In secondo luogo – e questa è la sua lezione più importane – l’anziano scrittore voleva porre la propria integrità intellettuale al servizio di una posizione fuori moda, e ricordare ancora una volta che dietro ad opinioni contrapposte esistono sempre dei fatti e delle menzogne. Una posizione che dovremmo riaffermare con l’adeguato vigore, soprattutto in un tempo di mistificazioni e di bugie come questo.
Ma la verità è anche una scelta. Josè Saramago, figlio di contadini, aveva scelto di prestare la propria voce agli ultimi e alle loro battaglie, nella più coerente fedeltà a quanto appreso da Marx e da Engels: «Se l’uomo è formato dalle circostanze, bisogna formare le circostanze umanamente». Questo principio, che Saramago tradusse in una fedeltà senza riserve al marxismo, riemerge oggi in tutta la sua forza e in tutta la sua radicale bellezza. Al di fuori di esso, comunque la si pensi, è impossibile concepire una qualche forma di giustizia sociale.

Manuel Lambertini

sabato 1 gennaio 2011

Il mio Murale

Chiunque mi conosca, anche solo superficialmente, sorriderà all’idea che uno come me possa aprire un blog. E che lo faccia proprio ora, dopo aver rifiutato per anni l’iscrizione a Facebook. In effetti, ho molto esitato prima di prendere questa decisione… Non sapevo che genere di blog creare. Cambiavo continuamente idea sul nome da dargli. Temevo soprattutto di non riuscire ad aggiornarlo con regolarità. Ma alla fine il piacere della scrittura e la curiosità verso questo nuovo strumento mi hanno convinto.
L’ho chiamato Murale per onorare la memoria e l’opera del più grande poeta palestinese mai vissuto, Mahmoud Darwish, e perché credo che un nome simile si adatti bene allo spirito di questa nascente creatura. Murale come affresco su cui apporre pensieri e dipingere emozioni. Murale come spazio di libertà d’espressione e di modesta partecipazione alla vita collettiva.
Il mio blog nasce con un indirizzo sostanzialmente generalista, ma dedicherà particolare attenzione all’attualità politica, al cinema e allo spettacolo in senso lato. Sarà libero e militante al tempo stesso, nella convinzione che l’imparzialità debba talvolta cedere il passo a forti prese di posizione – anche solo per riaffermare quella verità dei fatti che viene continuamente umiliata. Avrà inevitabilmente un’impronta personale, ma mai privata: vivrà delle mie opinioni, delle mie suggestioni e delle mie esperienze, purché queste possano riscuotere un qualche interesse al di fuori del mio nucleo familiare… Del resto, il grande scrittore Jorge Luis Borges – in una citazione che ho appreso grazie a Francesco Guccini – non ebbe bisogno di molte parole per esprimere lo stesso concetto: «Tutto quello che uno scrive è autobiografico. Solo può essere detto: “Nacqui nel tale anno, nel tale luogo” oppure “C’era un re che aveva tre figli”».
Per quel che mi riguarda, non penso che la mia vita possa risultare molto interessante, anche perché non ho imprese mirabolanti da raccontare. Negli ultimi anni, posso dire di essere stato un assiduo frequentatore di eventi culturali, a Bologna e altrove: benché abbia sottratto parecchio tempo ad avventure forse più entusiasmanti, questa passione mi ha riservato il privilegio di vedere da vicino molti dei miei maestri e la fortuna di conoscere tante persone simpatiche, oltre alla soddisfazione di essere stato testimone di aneddoti irripetibili. A questa sterile quanto piacevole attività dedicherò un’intera sezione del blog: lì troverete una fotogallery che ripercorre gli incontri più significativi e persino le scansioni di alcuni degli autografi raccolti negli anni. C’è poi un album personale tutto dedicato agli amici, ai familiari e alle persone a me più care. Se qualcuno dovesse dubitare della benevolenza della macchina fotografica nei miei confronti, è segno che non mi ha visto bene dal vivo!

Manuel Lambertini