lunedì 30 aprile 2012

Giorgio Consolini

All’età di 91 anni, Giorgio Consolini se n’è andato in punta di piedi. E pensare che era il mito di mio nonno Gerardo... L’ultima volta che lo incontrai fu per caso, alcuni anni fa, davanti alle transenne del backstage del Carnevale di Cento. Io aspettavo l’uscita delle celebrities di turno, lui sperava di essere riconosciuto dagli addetti ai lavori e di poter salire sul palco. Quando lo salutai, si stupì del fatto che un ragazzo tanto giovane lo conoscesse. Allora gli parlai del mangianastri di mio nonno, e di quante sue canzoni avesse rimasticato (Vecchio scarpone è l’unico brano che ricordi di aver sentito cantare dal nonno, a parte forse Bandiera Rossa).
Dopo più di un’ora, quando finalmente fu fatto entrare, ebbe la premura di voltarsi verso di me, nonostante avessimo smesso di parlare da molto tempo. Mi congedò con una serissima raccomandazione: «Tuo nonno deve avere suppergiù la mia età… Salutamelo tanto!». Non ebbi il coraggio di dirgli che era già morto da quasi tre anni. E promisi con una certa veemenza che avrei sicuramente onorato l’impegno.


Manuel Lambertini

martedì 10 aprile 2012

Il debito di Günter Grass

«Perché dico solo adesso
da vecchio e con l’ultimo inchiostro:
Günter Grass (Danzica, 16 ottobre 1927)
la potenza nucleare di Israele minaccia 
la così fragile pace mondiale?
Perché deve essere detto
quello che già domani potrebbe essere troppo tardi…».

Certo il grande scrittore tedesco Günter Grass sapeva che la poesia Quello che deve essere detto avrebbe ricevuto qualche critica. E non credo abbia costretto la propria immaginazione a compiere grandi sforzi per prevedere che sarebbe stato accusato di antisemitismo… Anzi, nel domandarsi «Perché ho taciuto finora?» a proposito dei venti di guerra con l'Iran sprigionati da Israele negli ultimi mesi, è lui stesso a giustificarsi richiamando la storia della Germania, un «paese di volta in volta toccato da crimini esclusivi / che non hanno paragone e costretto a giustificarsi», nonché la sua stessa «origine, gravata da una macchia incancellabile». E ancora:

«Il silenzio di tutti su questo stato di cose,
a cui si è assoggettato il mio silenzio,
lo sento come opprimente menzogna
e inibizione che prospetta punizioni
appena non se ne tenga conto;
il verdetto “antisemitismo” è d’uso corrente…».

Ed anche stavolta tale verdetto è arrivato. In forma inedita, però. Addirittura sorprendente. Per bocca delle più alte autorità dello Stato d’Israele. Il premier Netanyahu si è precipitato a stigmatizzare le parole di Grass come «ignoranti e vergognose», aggiungendo che «ogni persona onesta deve condannarle». Della visita a Gerusalemme di Mario Monti ha approfittato il ministro degli Esteri Avidgor Lieberman, per additare lo scrittore Premio Nobel quale esempio «dell’egoismo di quegli pseudo-intellettuali occidentali disposti a sacrificare per la seconda volta il popolo ebraico sull’altare di un folle antisemitismo, solo per vendere qualche libro in più o farsi una reputazione». A dichiarare formalmente Günter Grass «persona non grata» è stato invece il ministro dell’Interno Eli Yishai, tra i leader dello Shas, il partito della destra ultrareligiosa: «Le poesie di Grass sono un tentativo di guidare il fuoco dell’odio contro Israele e il popolo israeliano e di promuovere le idee di cui era esponente quando indossava la divisa delle SS».
Qui occorre fermarsi un momento. È vero, al tempo della Seconda Guerra Mondiale il giovane Günter indossava la divisa nazista. Poco più che quindicenne, si era arruolato volontario con la speranza di essere reclutato tra i sommergibilisti: «Era una cosa comune per quelli della mia generazione, un modo per girare l’angolo e voltare le spalle ai genitori». Lo rivelò lui stesso nell’agosto 2006, in un’intervista esclusiva al Frankfurter Allgemeine Zeitung. Solo dopo aver ricevuto la lettera di coscrizione, aggiunse, «mi resi conto che mi stavano mandando a Dresda con l’uniforme delle SS».
Dunque una storia vecchia. Che avrebbe dovuto essere archiviata sei anni fa, senza nemmeno scatenare tutte le polemiche con cui fu accolta allora, tra le proteste di chi addirittura pretendeva che gli fosse revocato il Nobel... I più alti vertici dello Stato d’Israele, com’era prevedibile, hanno invece colto la palla al balzo. E l’imbarazzo della stessa opinione pubblica israeliana progressista è stato ben rappresentato dal quotidiano Ha’aretz, che, pur guardandosi bene dal difendere Grass, ha definito «isterica» la reazione del governo Netanyahu.
All’autore de Il tamburo di latta è stato infatti riservato un trattamento speciale: la pura e semplice messa al bando dal territorio israeliano. Prima di lui, ne erano stati oggetto anche il linguista Noam Chomsky e lo storico Norman G. Finkelstein, i cui cognomi dovrebbero essere rivelatori… Antisemiti anche loro? No. Più semplicemente, «ebrei che odiano gli ebrei».

Manuel Lambertini