giovedì 3 febbraio 2011

Sveglia, Presidente!

Al nostro Presidente della Repubblica l’aria di Bergamo deve aver fatto male. O forse tutti quei sindaci leghisti con la fascia tricolore lo hanno solo disorientato un po’… In ogni caso, Napolitano ha chiesto anche ieri alle forze politiche di abbassare i toni dello scontro. Questa volta, però, le sue parole hanno ottenuto un particolare apprezzamento dalla maggioranza, e lo stesso Berlusconi non ha esitato a manifestare la propria entusiastica adesione.
Secondo il Capo dello Stato, è necessario uscire «da una spirale insostenibile di contrapposizioni, arroccamenti, prove di forza da cui può soltanto uscire ostacolato ogni processo di riforma», soprattutto quelle «ormai giunte a buon punto» come il federalismo. Ed ha aggiunto: «Non è mio compito intervenire e interferire nella dialettica fra le forze politiche e sociali». Il suo «fondamentale dovere» è invece quello di «rappresentare l’unità nazionale che si esprime nel complesso delle articolazioni delle istituzioni». «La mia generazione – ha poi ricordato – visse un’esperienza terribile, quella dell’Italia divisa in due come non era più accaduto dal 1860 del paese sanguinante, in macerie, da ricostruire. C’era da dubitare di tutto ma non ci si doveva scoraggiare, e noi non ci scoraggiammo. Anche oggi è necessario ragionare così. Nonostante le divisioni politiche e ideologiche si riuscì ad approvare una Costituzione nel segno dell’unità. Forze politiche anche tra loro distanti trovarono un punto di incontro nel disegnare quel grande quadro di principi che avrebbe dovuto guidarci e che ci ha guidato fino ad oggi, che ci ha salvato da ulteriori rotture».
È il caso di dirlo: il discorso del Capo dello Stato non poteva essere più inopportuno. Nel momento stesso in cui dichiara di non voler interferire nella dialettica politica, esorta l’approvazione del federalismo, prolunga la vita al governo e umilia l’autonomia finanziaria dei comuni italiani. In commissione bicamerale il federalismo municipale non è passato, ma la Lega non sembra propendere per un imminente ritorno alle urne. L’opposizione non ha alternative alla linea dura di questi giorni. Dopo aver offerto a Berlusconi innumerevoli scialuppe di salvataggio, il Partito democratico, nella persona del segretario Pier Luigi Bersani, sembra aver imparato la lezione. E le dichiarazioni concilianti del premier, una volta tanto, non avranno risposta.
Restano però alcuni interrogativi, tutt’altro che banali. A cosa si deve questo intervento del Presidente Napolitano? Può una semplice apertura far dimenticare diciassette anni di menzogne? All’inizio della legislatura, forte di un’ampia maggioranza parlamentare, il premier non sembrava avere a cuore le riforme strutturali di cui parla oggi, né il dialogo col centro-sinistra:  «Nel nostro programma elettorale abbiamo promesso di agire sull'ammodernamento dello Stato operando le necessarie riforme; se questo sarà possibile con l'opposizione, bene, altrimenti le faremo ugualmente con i numeri che abbiamo» (1-08-2008). In altre parole, Berlusconi non avrebbe certo rifiutato i voti dell’opposizione, ma nemmeno modificato una virgola dei suoi provvedimenti… Può esserselo dimenticato, il Presidente Napolitano, dall’alto della sua lunga esperienza politica?
Sia chiaro: qui non ci si appella al suo passato comunista, che peraltro nessuno ricorda più. Ci si appella al suo senso dello Stato. Tante, troppe volte il Presidente si è rivolto al PdL e alla Lega come fossero forze politiche normali. E troppe volte ha subito senza reagire i loro attacchi alla magistratura, la loro demagogia. Chi arriva al punto di modificare le leggi dello Stato a seconda delle proprie esigenze, e per sfuggire alla giustizia, valica i limiti della regolare dialettica politica. L’equilibrio mantenuto sin qui ha conferito a Giorgio Napolitano una grande credibilità. Ma da garante delle istituzioni sta correndo il rischio di trasformarsi nel garante di una casta che non merita legittimazioni. È arrivato, per lui, il momento di alzare la testa. Non gli si chiede nulla di più rispetto a ciò che fecero Scalfaro e Ciampi quando arginarono l’offensiva semiautoritaria del Cavaliere. Con Scalfaro al Quirinale, Cesare Previti non divenne ministro della Giustizia; e fu Carlo Azeglio Ciampi, nel dicembre 2004, a rinviare alle Camere la riforma dell’ordinamento giudiziario.
Gli uomini di quella generazione, è vero, seppero trovare un encomiabile punto di sintesi tra culture politiche apparentemente incompatibili. Ma qualcuno dovrebbe ricordare al Capo dello Stato il trattamento che riservarono a Mussolini, appena un anno prima dell’Assemblea Costituente… Le persone oneste, oggi, si accontenterebbero di molto meno. E al loro più alto rappresentante chiedono almeno un modesto contributo.

Manuel Lambertini

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