domenica 20 febbraio 2011

«Stiamo Uniti»

E volemose bene, ora che il Festival di Sanremo 2011 ha finalmente chiuso i battenti. Mai come in questa edizione la tradizionale kermesse aveva lasciato intravedere il soffocante controllo dei vertici Rai. E anche stavolta, nonostante la tenacia di Gianni Morandi, la canzone non è riuscita a dominare il più atteso evento televisivo dell’anno, mentre i superospiti degli anni scorsi hanno ceduto il passo alla satira di regime e a un gradevolissimo corredo di bellezza femminile. Tra i cedimenti più che comprensibili dell’«eterno ragazzo» e i sorrisi benevoli e imbarazzati delle sue dinamiche accompagnatrici, in nessuna delle cinque serate gli ascolti sono scesi al di sotto del 42 % di share. Un successo, quindi. Ma inversamente proporzionale alla qualità.
Belen Rodriguez ed Elisabetta Canalis, chiacchierate e applauditissime, hanno offerto un contributo attivo ad ogni serata del Festival. Raphael Gualazzi ha trionfato a furor di popolo nella categoria giovani. Il vincitore Roberto Vecchioni e Franco Battiato non hanno deluso, malgrado le consuete polemiche sul televoto: la loro presenza è però passata in secondo piano, come quella degli altri big in gara, per cedere il passo alle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia. Una scelta che la squadra di Morandi si è vista imporre dall’alto e che, unita alle pressioni dettate dalla stretta attualità politica, sembra aver imbrigliato persino l’indomabile Benigni. Il 17 febbraio, all’Ariston, c’erano tutti: da Ignazio La Russa – che Santoro e Vauro cucinavano a fuoco lento su Rai Due, seguiti “solo” da  quattro milioni e 250mila persone – a Giorgia Meloni, dal direttore generale della Rai Mauro Masi al direttore di RaiUno Mazza. A queste costrizioni si sono aggiunti alcuni disguidi tecnici, molti punti morti, un’intervista a Robert De Niro spezzata in due parti per esigenze pubblicitarie e qualche segnale di tensione.
«Per l'arte – scriveva Bertolt Brecht nel suo Breviario di estetica teatrale essere apartitica significa semplicemente essere del partito dominante». E Luca e Paolo hanno dovuto rinunciare alla consueta irriverenza per indossare gli abiti del politicamente corretto. Caratteristica della loro comicità è sempre stata quella di ironizzare sul qualunquismo degli italiani, per criticare ciò che stanno fedelmente rappresentando. Ma a Sanremo sembrano aver giocato su questo equivoco, e sull’ambivalenza di ogni singola battuta. Agli occhi dei telespettatori che non conoscono Gramsci, di cui Luca e Paolo hanno mirabilmente letto un brano tratto da La Città Futura, la loro ironia bipartisan si è facilmente trasformata nella normalizzazione dei guai giudiziari del premier, e nell’immancabile derisione del centro-sinistra. Alla canzone Ti sputtanerò, parodia di In Amore con protagonisti Berlusconi e Fini, sono seguiti uno sfottò rivolto a Saviano e Santoro e un’altra canzone sui dirigenti del Pd: Uno su mille ci sarà, presentata come un omaggio alla tradizione circense italiana, con tanto di colbacco e stella rossa in testa. Anche nel rendere omaggio a Giorgio Gaber e nella rivisitazione della sua Al bar Casablanca  hanno ridicolizzato, con una leggerezza forse eccessiva, le verbose ossessioni della sinistra: «Al bar Casablanca / seduti all’aperto / la nikon, gli occhiali / e sopra una sedia, i titoli rossi / dei nostri giornali, / blue jeans scoloriti, / la barba sporcata da un po’ di gelato. / Parliamo, parliamo di rivoluzione, di proletariato…».
Ieri Andrea Scanzi ha scritto su La Stampa: «“La satira non deve essere unilaterale”. Non vuol dire granché. Infatti l’ha detto La Russa. A cui Luca e Paolo sono piaciuti. Già, Luca e Paolo. I disturbatori-ma-non-troppo. Tra i migliori, nello sfottò. Ma la satira è un’altra cosa. Loro lo sanno.  E sanno pure che, a RaiUno, la satira è fuoriluogo. Da qui l’autodisinnesco preventivo. Ti sputtanerò? Caruccia e nulla più. Calzante la citazione di Gramsci. Scontata la canzoncina sul Pd. Sincero l’omaggio a Gaber. Dove sono inciampati, è stato nel debole duetto su Saviano e Santoro. Non perché non andasse fatto, ma perché è parso un mesto azzerbinamento ai Capi. Luca e Paolo sembrano aver canonizzato il “cerchiobottismo volenteroso”. Quello che piace a tutti. E non fa male a nessuno. Con o senza cavalli sul palco».

Manuel Lambertini

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