venerdì 25 maggio 2012

Terremoti

Sette morti. Cinquanta feriti. Seimila sfollati, e danni incalcolabili al patrimonio culturale e al tessuto produttivo della regione. Pensare che un sisma di magnitudo 6 abbia colpito l’Emilia Romagna, in località che la pianura e le nebbie sembravano proteggere da ogni turbolenza, lascia sopresi e sgomenti.
Finale Emilia, Sant’Agostino, San Carlo, Sant’Alberto, Ponte Rodoni di Bondeno: paesi che fino a cinque giorni fa erano poco conosciuti dagli stessi emiliani sono balzati ora all’attenzione dei media per il più imprevedibile degli eventi naturali, e per il carico di morte e distruzione che li ha feriti.
Anna e Gabi, 86 e 37 anni, sono morte di paura. Nevina avrebbe compiuto 103 anni il mese prossimo: le ha tolto la vita la caduta di un calcinaccio, nel suo vecchio casolare di campagna. Leonardo aveva un figlio di 8 anni e una figlia di 18: faceva il turno di notte nella Ceramica Sant’Agostino, ed è morto nel crollo di uno dei capannoni più nuovi di tutto lo stabilimento. Come Nicola, di anni 35, che alla Ceramica era delegato sindacale, e che tra non molto avrebbe dovuto sposarsi. La notte del 20 maggio sostituiva un collega ammalato. Tarik aveva appena ottenuto il ricongiungimento familiare con la giovane moglie Iudad, in arrivo dal Marocco; aveva 29 anni, e da tre lavorava alla Ursa di Bondeno, una fabbrica chimica di polistirene espanso. Sopravvissuto alla prima scossa, era rientrato precipitosamente in fabbrica per «chiudere la valvola del gas», secondo i racconti dei compagni di lavoro. Non ne è più uscito.
Nell’aprile 2009, sul suo indimenticabile Quaderno, Josè Saramago dedicava alcune, lapidarie righe al terremoto a L’Aquila: «Leggo in un reportage sul terremoto degli Abruzzi che i sopravvissuti, disperati, impotenti, si domandano perché mai il destino abbia scelto loro e la loro terra come campo della tremenda catastrofe. È una domanda a cui non ci sarà mai una risposta, ma che invariabilmente ci poniamo quando l’infelicità è venuta a bussarci alla porta, come se in qualche parte dell’universo esistesse un responsabile cui chieder conto dei mali che ci capitano. […] Ci domandiamo perché a noi, perchè a me, e non c’è risposta. Anche Jacques Brel se l’era domandato: “Pourquoi moi? Pourquoi maintenant?” – e morì. È il destino, diciamo, e nel destino non c’è scritta la parola risurrezione. È bene saperlo perché, in verità, il mondo non è fatto per le risurrezioni. Basta già quello che c’è».

Manuel Lambertini

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