sabato 12 marzo 2011

Nilla Pizzi


La regina della musica italiana ci ha lasciato. Nilla Pizzi, che avrebbe compiuto 92 anni il 16 aprile, era ricoverata da tre settimane in una clinica milanese. L’album di inediti annunciato per quest’anno non vedrà mai la luce: ora l’interprete più popolare degli anni ’50 è patrimonio esclusivo della storia della canzone. Censurata dal regime fascista perché troppo sensuale, la sua straordinaria vocalità accompagnò gli entusiasmi del secondo dopoguerra, colonna sonora leggera e distesa dei valori tradizionali, dei patimenti d’amore, delle sofferenze degli umili e dell’emigrazione italiana all’estero. Resterà per sempre l’icona della «bella canzone popolare, quella che ti fa cantare alle feste, ai matrimoni, alle scampagnate, in corriera. Cose che portano il buonumore, l'allegria e magari qualche bel ricordo».
Adionilla Negrini Pizzi era nata nel 1919 a Sant’Agata Bolognese, e per tutta la vita ha portato con sè la genuinità saggia e gioviale  della sua terra. Appena diciottenne, nel 1937 vinse il concorso di bellezza “5000 lire per un sorriso”; fu poi assunta all’Eiar, e cominciò ad esibirsi con l’orchestra Zeme. Dopo un breve allontanamento dalle scene, nel 1946 entrò nell’orchestra del maestro Cinico Angelini, con cui ebbe una relazione sentimentale. Il 1951 la vide trionfare al primo Festival di Sanremo, con Grazie dei fior, e aggiudicarsi anche la seconda posizione insieme ad Achille Togliani, grazie al brano La luna si veste d’argento. L’anno successivo fu protagonista di un record rimasto imbattuto, conquistando da sola le prime tre posizioni, con canzoni destinate a imprimersi nell’immaginario collettivo: Vola colomba, Papaveri e papere e Una donna prega. La sua avventura artistica proseguì tra film, trasmissioni radiofoniche, partecipazioni televisive e qualche amore tormentato (prima con Luciano Benevene, col quale duettò, tra l’altro, in Avanti e indrè; poi con Gino Latilla, che per lei tentò il suicidio). Al Festival del 1958 si classificò seconda, dopo Nel blu dipinto di blu di Modugno: ma lo stesso brano, L’edera, un anno dopo vinse Canzonissima.
Nel rievocare gli anni d’oro della carriera, avrebbe successivamente paragonato l’ascesa al successo ad una scala: «Ad un certo punto, se sei fortunato, tocchi la cima, come ho fatto io nei primi anni '50. E allora l'importante e’ trovare il modo giusto di scendere. Io ho cercato di scendere senza scivolare e senza rompermi il collo. Così mi sono sistemata sul mio gradino, da dove ho continuato a cantare, a far serate, a divertirmi».
Prima di essere colpita da ischemia, nel 2003, annunciava di voler intraprendere il tour estivo di uno spettacolo con Platinette. Già nel 2001, con la supervisione di Paolo Limiti, aveva interpretato una versione rap di Grazie dei fiori insieme alla boyband 2080, e a Ferragosto dello stesso anno era stata madrina del Gay Pride di Torre del Lago (Lucca). Dal 2008, inoltre, rinnovava il proprio sostegno all’Istituto Ramazzini di Ozzano dell’Emilia, esibendosi con l’amico Giorgio Consolini in favore della ricerca sul cancro. Commentando la sua apparizione al 60esimo Festival di Sanremo, nel 2010, Mario Luzzatto Fegiz l'aveva ricordata come un’«artista che negli anni d'oro spiccava non solo per la tecnica vocale, ma per il carattere sincero ed emotivo (che la portò poi a dichiararsi fino all'ultimo attratta dal fascino di Bettino Craxi). La regina di Casetta in Canadà e Papaveri e Papere (che lei ha sempre sostenuto essere una canzone-metafora sul dominio dei ricchi sui poveri) offriva un'immagine pubblica rassicurante, ma il privato conosceva anche la burrasca della passione come il suo amore per Gino Latilla, marito della sua migliore amica Carla Boni. Ma per il pubblico, con la sua voce rotonda, accattivante e lineare, era il simbolo della donna che “stimola ma non stordisce”».
Durante la sua ultima apparizione in tv, nel corso della trasmissione Minissima 2010 dedicata ai settant’anni di Mina, il conduttore Paolo Limiti lesse una lettera indirizzatale dalla “Tigre di Cremona”: «Carissima Nilla, tu sei sempre stata la regina. Bastava chiamarti Nillapizzi, tutto attaccato, come se fosse un soprannome più elegante di ogni metafora. Sei sempre stata bella. Io ho imparato molto dalla tua voce. Ed è giusto ammetterlo, finalmente. Ho cercato di arrotondare la voce, di schiacciarla, di infantilizzarla, di mascolinizzarla, di strapazzarla, di renderla più autorevole proprio nelle emissioni, ho lavorato sulle vocali e sulla doppie come tu hai sempre suggerito, magari inconsciamente. Grazie, Nilla. Ti mando un grande bacio. E lasciami dire che ti vogliamo bene, che sei sempre tu la regina. Ti voglio bene. Tua Mina».  


Manuel Lambertini

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