domenica 27 ottobre 2013

Il Paese del «Gattopardo»

Ricorrono i cinquant'anni da quando il romanzo italiano più venduto del XX secolo, Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo da Feltrinelli nel 1958, venne elevato a capolavoro cinematografico da Luchino Visconti. Nei prossimi giorni la pellicola sarà proiettata in oltre settanta sale italiane, in una versione restaurata dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con The Film Foundation di Martin Scorsese. E nel marzo 2014 l’Accademia delle arti e della scienza del cinema di Los Angeles assegnerà l’Oscar alla carriera al costumista Piero Tosi, a coronamento di un’avventura umana e professionale che ha pochi confronti nel panorama mondiale.
La storia di Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, Duca di Querceta, Marchese di Donnafugata, continua a incantare il pubblico e a sollevare annosi interrogativi sull’ineluttabile ciclicità della storia. Con la sconfitta dell’aristocrazia terriera siciliana, costretta ad accettare l’annessione al Regno d’Italia e la compenetrazione di elementi borghesi nelle sue stesse strutture familiari – tramite il matrimonio del giovane Tancredi con Angelica, la figlia del facoltoso sindaco di Donnafugata – si assiste al perpetuarsi degli antichi rapporti di potere e di prevaricazione. Una trasformazione a cui Don Fabrizio rifiuta di prendere parte, terminando i suoi giorni in un volontario, avvilente isolamento.
L’opera di Tomasi di Lampedusa non è però sopravvissuta al suo autore in una forma del tutto compiuta. In coda al romanzo, un capitolo mai terminato avrebbe dovuto contenere 17 sonetti nei quali sarebbe stato svelato l’amore di Don Fabrizio per la bellissima Angelica. Quello che segue è il più eloquente dei sonetti ritrovati.


Quando in un vecchio cuore Amor discende
lento procede e fra l’ingombro triste
di sepolte speranze a pianto miste
deve aprirsi la strada; e mummie orrende

di vizzi affetti sbarran le sue piste.
S’insedia alfine, strappa le sue bende:
negli occhi ha sol una beffa ch’offende
non più, com’ebbe, voluttà intraviste.

Tiranno in gioventù, boia in vecchiezza
non più di vita messo ma di morte,
suscita pene, orror, vergogna, liti.

Io soffro, piango, impreco e lui disprezza;
mi strazia con torture e con ritorte,
fiero mi seguirà sui neri liti.



Manuel Lambertini

Nessun commento:

Posta un commento