sabato 30 marzo 2013

Enzo Jannacci

Era di quelli che… Gli aggettivi si sprecano. Geniale, stralunato, surreale. Cabarettista e attore di raffinata intelligenza. Innovatore della canzone e apprezzato jazzista. Era anche molto altro, Enzo Jannacci, cardiologo di professione e artista per natura: l’anima della Milano più umile e più vera, l’autore di tormentoni come Vengo anch’io. No, tu no (1968) o E la vita, la vita (1974), l’amico fraterno di Giorgio Gaber, di Dario Fo, di Cochi e Renato, di Celentano... Esemplari la libertà di coscienza e l’anticonformismo con cui si accostava alla vita civile, indimenticabili il suo estro e la sua umanità.
Nel settembre 2009, ben prima che la malattia lo costringesse a diradare le proprie apparizioni pubbliche, ricevette dalla Casa dei Pensieri di Bologna la targa in memoria di Paolo Volponi. All’inizio dell’incontro, platealmente, si alzò in piedi per onorare sei militari italiani caduti in Afghanistan. Con la consueta ironia sparò poi a zero sui talent show, mettendo pesantemente in dubbio la correttezza della competizione, e stigmatizzò la scelta dell’amica Claudia Mori di prendere parte alla giuria di X Factor. Alla fine regalò ai presenti una sentita interpretazione di Vincenzina e la fabbrica, canzone che fu colonna sonora del film Romanzo Popolare di Monicelli.
Tra le innumerevoli testimonianze di cordoglio, colpisce e commuove che siano in molti a salutarlo come “il poeta in scarpe da tennis”, quasi sovrapponendolo al più sgraziato, umano e poetico dei suoi eroi emarginati: «El portava i scarp del tennis, / el gh’aveva dù oeucc de bon; / l’era el primm a menà via, / perché l’era un barbon».


 Manuel Lambertini

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