La presente riflessione avrebbe
potuto intitolarsi Il crimine della
Germania, se la campagna elettorale per le imminenti elezioni europee, tra
puerili proclami anti-tedeschi e reazioni perbeniste altrettanto patetiche, non
avesse vanificato la possibilità di affrontare serenamente un tema così
delicato; e se lo scopo principale di tale riflessione non fosse stato quello
di ricordare, a un anno esatto dalla scomparsa, la grande intellettuale
francese Viviane Forrester, autrice di un memorabile pamphlet intitolato,
appunto, Il crimine dell’Occidente
(Ponte alle Grazie, 2005).
|
Hamas e al-Fatah annunciano il governo di unità nazionale.
Ramallah, 23 aprile 2014. |
Partiamo da alcuni semplici fatti
di politica internazionale. Primo fatto: la riconciliazione di al-Fatah e Hamas
nei Territori palestinesi. I due grandi partiti politici della Palestina occupata
– laico e nazionalista l’uno, islamista l’altro –
entrati in un conflitto fratricida a partire dal 2007, hanno annunciato
la volontà di dare vita ad un governo di unità nazionale. Nuove elezioni dovrebbero
essere convocate entro i prossimi sei mesi. Il presidente dell’Autorità
nazionale palestinese Abu Mazen, dopo il fallimento dell’ennesima mediazione
americana, sembra aver voluto anteporre l’unità del proprio popolo ad ogni
altro obiettivo. Attirando a sé un maggiore consenso interno. Ma anche le ire
di Israele e degli Stati Uniti. Senza appello la reazione del governo israeliano,
nelle parole del primo ministro Benyamin Netanyahu: «L’accordo Olp-Hamas uccide
la pace. È un enorme passo indietro. Speravamo che Abu Mazen avesse fatto sua
l’idea di uno Stato ebraico e di due Stati-nazione, uno palestinese e l’altro
ebraico, e invece ha concluso un patto con Hamas, organizzazione terroristica
che vuole distruggerci». Gli ha fatto eco il Dipartimento di Stato americano:
«Siamo delusi dall'annuncio di oggi. Questo sviluppo può danneggiare seriamente
gli sforzi per la pace». Timide aperture sono invece arrivate dall’Unione
Europea. Inascoltata la precisazione finale di Abu Mazen, giunta nella serata
del 23 aprile: «L’accordo di oggi [con Hamas] non è in contraddizione con i
colloqui di pace con Israele, né con la soluzione dei “due Stati”».
|
Il presidente dell'Anp Abu Mazen con Ismail Haniyeh di Hamas. |
Hamas governa
la Striscia di Gaza dal
2007, quando ne prese militarmente possesso dopo essere stata esclusa dal
governo dell'Anp, pur avendo di fatto vinto le elezioni parlamentari contro
al-Fatah. Il prezzo fu una sanguinosa guerra civile tra fazioni palestinesi che privò la causa nazionale di una effettiva rappresentanza politica: da
allora
la Cisgiordania
è governata da Abu Mazen e da al-Fatah, Gaza si trova sotto il controllo di
Hamas e in una condizione di isolamento internazionale.
Ciò che Usa e Israele stanno
chiedendo al presidente palestinese Abu Mazen, in breve, è di mantenere uno
status quo che vede
la Palestina divisa e
assoggettata alle esigenze dello Stato ebraico. Una resa senza condizioni. Nulla
di diverso da ciò a cui i palestinesi erano stati abituati sin dalla metà
degli anni ’90: è lo stesso stato di cose che le offerte israeliane a Camp
David, nel luglio 2000, avevano tentato di imporre come base di un accordo
definitivo, e che al termine della Seconda Intifada ha finito per consolidarsi con
modalità ancor più drammatiche. Una posizione che oggi si colora di tinte
tragicomiche. Perché dopo aver lungamente sollecitato i palestinesi a
rappresentare una sola ipotesi nazionale, e non due entità territoriali divise
e ostili, israeliani e americani vorrebbero costringere Abu Mazen a scegliere
tra la pace con Hamas e la pace con Israele. L’Autorità nazionale palestinese,
ai loro occhi, non ha ormai altra funzione all'infuori di quella di garantire
la sicurezza di Israele. Costi quello che costi. Inclusa, e tutt’altro che deplorata,
la prosecuzione della guerra civile con Hamas.
|
Il segretario di Sato Usa John Kerry tra Shimon Peres e Abu Mazen
al World Economic Forum sul Mar Morto, Giordania, 26 maggio 2013. |
Secondo fatto: il
27 aprile, mentre Israele si apprestava a celebrare il giorno del ricordo dell’Olocausto, Abu
Mazen ha rivolto un «messaggio speciale al popolo ebraico», definendo
la Shoah «il più odioso crimine
contro l’umanità avvenuto nell'era moderna». Risposta di Netanyahu: «Anziché
tentare di compiacere la comunità internazionale, Abu Mazen farebbe meglio a
rompere i rapporti con Hamas»… Di tenore opposto, ma non meno semplicistici, i
commenti apparsi sulla stampa occidentale, a partire dal comunicato dell'
Associated
Press con cui è stata diffusa la notizia: le dichiarazioni del presidente
palestinese, secondo l'
Ap, «segnano una rara ammissione da parte di un leader
arabo delle sofferenze del popolo ebraico durante il genocidio nazista». Su
La
Stampa Maurizio Molinari, per fare solo un esempio, ha
scritto: «È la prima volta che un leader palestinese compie questo passo,
rompendo un tabù nel mondo arabo». La
prima
volta? Anche senza ricordare la visita di Yasser Arafat alla casa di Anna Frank,
nel marzo 1998, ogni commentatore dovrebbe avere la consapevolezza che dichiarazioni
come quelle di Abu Mazen erano pressoché ordinarie tra i leader arabi del secolo
scorso. Il negazionismo arabo è un fenomeno relativamente recente, la cui
ascesa ha coinciso in buona sostanza con il riflusso fondamentalista degli
ultimi decenni. E se l’insistenza con cui si condanna l’antisemitismo altrui non
fosse che un tentativo, anche inconsapevole, di espiare la colpa di un crimine
tutto occidentale come fu
la
Shoah?
È qui che Viviane
Forrester ci viene in aiuto. Ebrea nata a Parigi nel 1925, fu costretta alla
fuga dalle persecuzioni razziali degli anni ’30 e ’40: «L’orrore che mi
prendeva di mira era europeo», avrebbe ricordato in seguito. Scrittrice,
saggista, critica letteraria. Autrice di saggi di grande sucesso come L’orrore economico (1996), contro la
globalizzazione neoliberista, e Il
crimine dell’Occidente (2004), era considerata «la Fallaci di sinistra». Pochi
meglio di lei hanno saputo descrivere l’imbarazzante, colpevole posizione del
mondo occidentale rispetto al conflitto arabo-israeliano. È scomparsa il 30
aprile 2013.
|
Viviane Forrester (Parigi, 29 settembre 1925 - Parigi, 30 aprile 2013) |
Ne
Il crimine dell’Occidente, pubblicato in
Francia da Fayard dieci anni fa,
la Forrester scriveva: «Israeliani e palestinesi avrebbero
potuto e potrebbero ancora distinguere la loro specificità comune in seno allo
spazio internazionale e al suo clima paternalistico, tacitamente sprezzante, sempre
direttivo, e riconoscere di essere entrambi considerati (con una certa complice
preferenza per Israele) come degli ex subalterni promossi alla parità senza
convinzione, per generosità, per buona creanza democratica; e i loro tragici
conflitti sono visti talvolta con inquietudine, sempre con una degnazione piena
di rimprovero, ma soprattutto con la preoccupazione di mantenere relegati
altrove, così camuffati, i sommovimenti generati dall'inferno creato per gli
ebrei in Europa che avevano determinato e che, occultamente, determinavano
ancora il dramma delle due nazioni. […] Bisogna sottolineare che oggi questo Occidente
non è evidentemente più quello della seconda guerra mondiale. L’Europa attuale,
in particolare, non ha più nulla a che vedere con le sue ore maledette. […] Per Israele e per
la Palestina è ora di
togliersi il marchio di quel passato di cui gli uni furono le prede e al quale
gli altri furono estranei. Di riconoscere ciascuno la propria indipendenza di
fatto e di ammettere di essere entrambi più vicini l’uno all'altro di quanto lo
siano certe potenze che pretendono di ravvicinarli. Di non limitarsi più alle
scene mediatiche e grandiose in cui le telecamere, ma soprattutto i grandi
presidenti americani, estasiati all'idea di un lusinghiero ingresso nei libri
di scuola, l’uno dopo l’altro, attraverso gli anni, puntano sui dirigenti
palestinesi e israeliani riuniti presso di loro sguardi commossi, lucidi, di
mamme trionfanti all'idea di aver finalmente calmato i piccoli o stizzite per
non essere riuscite a far intendere ragione a quei ragazzacci. […] Oltre alle
evidenti ragioni di politica internazionale, se le grandi potenze sono rimaste
così legate a Israele e alla Palestina è proprio perché in Medio Oriente si
svolgono ancora, a distanza, da decenni, i prolungamenti della loro peggior
storia personale, da cui non riuscivano e non riescono a distaccarsi e le cui
prove toccano ancora a coloro che ne furono i martiri e ad altri che ne sono
innocenti. Tali potenze speravano inconsciamente di aver trasferito per sempre
nel presente di quelle regioni straniere le tracce e le conseguenze del passato
funebre che ossessionava le memorie e alterava le coscienze. Si dà il caso che
il futuro tragico d’Israele e della Palestina, imprevisto nelle proporzioni che
sta assumendo, abbia fatto molto per camuffarlo. Interporvi i propri buoni
uffici, sostenervi i ruoli virtuosi di guide e arbitri garantisce le amnistie
dell’oblio, assume valore di assoluzione e ristabilisce l’autorità morale di
tali potenze, liberandole dai turbini di un passato ricusato».
Manuel Lambertini