Jack Hirschman (New York, 13 dicembre 1933) |
Io non faccio schiavi
e la mia schiavitù è un respiro
sono una cosa del nulla
sono meno che, e più
io con zero
dieci
E in tale felicità
resisto a ogni cosa tranne
il tuo arrivare e frugare
la mia risata di stracci
il mio caos d’immondizia
sono un bidone della spazzatura
sono spazzaturaincantesimo
che trema e si contorce
sono la colla di un dio morto
spalmata su tutto
il tuo corpo
dove i manifesti
per la manifestazione di domani
sono incollati
e i graffiti
sono scarabocchiati
con sangue e sperma.
Jack Hirschman è fatto così. Ogni sua poesia – come
questa, Io non faccio schiavi (1997) –
nasce da un irriducibile bisogno di cambiare il mondo. Ed oggi che compie ottant’anni, mi
torna alla mente ciò che disse il suo amico Alberto Masala durante un incontro
pubblico di alcuni anni fa: dopo i Cantos
di Ezra Pound, se non ci fosse stato Jack Hirschman con i suoi Arcani il XX secolo si sarebbe chiuso con un
pericoloso sbilanciamento a favore delle destre.
In Volevo che voi lo sapeste
(Multimedia edizioni, 2004), una selezione di poesie scritte tra il 1952 e il
2004, l’universo di Hirschman si rivela attraverso un susseguirsi di
immagini forti, a volte gioiose e a volte dolenti, come la vita. Dapprima un linguaggio
sperimentale, tra Joyce e la Beat
Generation. Poi gli omaggi a tanti amici, vicini e lontani.
Quindi la passione per la cabala. E la
Rivoluzione. L ’indignazione che si fa poesia. La scrittura
come affronto allo squallore della società dei consumi, come semplice e
sfrontata ricerca dell’immateriale. I muri del Bronx, bucherellati dai
proiettili dei gangster. Sigourney Weaver, uccisa e gettata in un fosso dai
nazisti. Una madre che tiene per mano suo figlio, e che con lui attraversa la
vita fino alla morte, sfidando lo scherno della folla con il suo amore. E il
Washington Square Garden, dove un uomo sdraiato sull’erba piscia in aria
«formando un cerchio dorato». Con lui, tantissimi altri uomini, intenti a
rovistare nei bidoni dell’immondizia, senza casa e senza cibo, ma ancora ricchi
di forza poetica.
Basta guardarlo, questo brigante in
bretelle, con i capelli e i baffi grigi, per capire dove trovi gli ultimi
residui di umanità. Nei sobborghi della Grande Mela e di San Francisco,
Hirschman è un emarginato tra gli emarginati. Poeta in una società
profittatrice. Comunista nella pancia del capitalismo. Ma sognatore incontrollabile.
Nei suoi versi, il ladro continua a rapinare le banche gridando: «Buon
compleanno, Stalin!». Tina Modotti rivive nella lotta. Fratelli sconosciuti ne
approvano le idee rivoluzionarie, toccando la sensibilità del suo animo con
imprevedibili gesti di solidarietà. E la sua palla nera continua a scagliarsi
contro finestre e muri, mentre la calce sgretolata riesuma una vecchia scritta:
SOLLEVATI, NUOVA CLASSE, SOLLEVATI!
Manuel Lambertini
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