Margherita Hack (Firenze, 12 giugno 1922 - Trieste, 29 luglio 2013) |
«Stella rossa» titola oggi il manifesto, salutando Margherita Hack
con un appellativo che di sicuro l’avrebbe fatta sorridere. Quasi a disperdere
le vivaci polemiche che l’avevano vista protagonista in vita, il presidente
Napolitano si è limitato a dire, molto semplicemente, che «ha onorato l’Italia»:
già nel maggio 2012, in vista del suo novantesimo compleanno, l’aveva nominata
Dama di gran croce «per il costante e instancabile impegno profuso nella
ricerca scientifica e al servizio della società, che la rende esempio di
straordinaria dedizione e coerenza per le giovani generazioni».
Era peraltro inevitabile che nel
giorno della scomparsa il suo attivismo e il suo impegno civile fossero
ricordati assai più dei pur altissimi meriti scientifici. Era un'astrofisica comunista, atea e vegetariana. Di una schiettezza indomabile, irriverente. Appassionata di gatti
(ne aveva otto) e di bicicletta: «Si va abbastanza forte per assaporare
l’ebbrezza della velocità e coprire distanze più lunghe di quelle che si fanno
a piedi. E si va abbastanza piano per poter gustare il paesaggio e immergersi
nella natura e nei suoi odori». Razionale fino allo scetticismo, ma mai
superficiale: «Nella nostra galassia ci sono quattrocento miliardi di stelle, e
nell’universo ci sono più di cento miliardi di galassie. Pensare di essere
unici è molto improbabile». Mangiapreti irriducibile e impenitente. Emblematico
lo scambio di battute che ebbe con il vescovo di Verona, monsignor Giuseppe
Zenti; questi, al termine di un esuberante dibattito, cercò di concludere l’incontro
nel segno di una curiale conciliazione: «Questa serata è veramente da annali
per il modo con cui ci siamo trattati: con molto rispetto…». Ma la Hack non riuscì proprio a
lasciargli l’ultima parola: «E che, ci si doveva prendere a pugni?!?».
La incontrai una prima volta al
Biografilm Festival di Bologna, nel giugno 2008: in quei giorni partecipò alla
presentazione del film di Marina Catucci e Roberto Salinas, Il secolo lungo, festeggiò con un certo distacco l’ottantaseiesimo compleanno e aderì convintamente al
Gay Pride.
Margherita Hack a Marzabotto, 25 aprile 2011 |
Indimenticabile poi la testimonianza che lasciò a Monte Sole il 25
aprile 2011, quando commemorò l’eccidio nazista del ’44 e invocò tra gli
applausi «una nuova resistenza, una resistenza che si può fare con la scheda
elettorale», denunciando i tagli alla cultura e alla scuola pubblica, il
razzismo verso i rom, gli immigrati e gli omosessuali, nonché il processo di
smantellamento che il governo Berlusconi stava infliggendo alla Costituzione e
alla laicità dello Stato: «C’è un’acquiescenza verso i dettami del Vaticano che
non c’era nemmeno nella Democrazia Cristiana. La Democrazia Cristiana
era molto più laica, anche se tra i democristiani c’erano molti veri cristiani.
Questi qua, che sono tutto il contrario di quello che predica il cristianesimo,
sono succubi, e non permettono che si faccia una legge sul testamento
biologico, non permettono che io sia libera di disporre come voglio morire!». Il
suo intervento fu il momento più toccante della cerimonia. Alla fine si trovò assediata
dall’affetto della gente. Ragazzi giovani la abbracciavano, la baciavano.
Mentre il marito Aldo De Rosa, al suo fianco da oltre 70 anni, agitava scherzosamente
la stampella, fingendosi geloso: «E basta, via, basta!».
Ebbi la fortuna di rivederla solo
qualche mese dopo, alla libreria Ambasciatori, per una delle tante presentazioni
di libri che teneva in giro per l’Italia. Invece delle solite frasi di
circostanza, preferii dirle che ero anch'io a Marzabotto, quel giorno. E aggiunsi
che era stato un momento bellissimo. «Se è stato così bello per lei, provi a immaginare
quanto lo è stato per me!», si limitò a rispondere.
Manuel Lambertini