É una storia di quasi
sessant'anni fa, che i drammatici avvenimenti della Turchia di oggi hanno fatto
tornare attuale. É la piccola storia di un albero, ed ha come narratore un
testimone d’eccezione: Orhan Pamuk, il più celebre scrittore turco vivente,
premio Nobel per la letteratura nel 2006 e autore di opere come Il castello bianco (1985), Il mio nome è Rosso (1998) e Neve (2002).
Era il 1957. Orhan aveva appena
cinque anni e viveva in quello che era già noto come Palazzo Pamuk, nel
quartiere di Nişantaşi, distretto di Şişli, Istanbul. Un giorno il comune
decise di tagliare il castagno che si trovava davanti all’abitazione della sua
famiglia, per fare della via un moderno boulevard. Per mesi i genitori di Orhan
tentarono di mediare con le autorità, senza ricevere il minimo ascolto. Perfino
l’opposizione dell’intero quartiere sembrava non potere nulla contro la
decisione di «burocrati presuntuosi» e «amministratori autoritari». Ma alla
vigilia dell’abbattimento, suo padre Gündüz, suo zio Aydin, e tutti i membri
della famiglia restarono in strada giorno e notte a vegliare sull’albero. I
funzionari comunali finirono per desistere, e il castagno è ancora davanti a
Palazzo Pamuk, a rappresentare qualcosa di più di una piccola storia famigliare.
Orhan Pamuk (Istanbul, 7 giugno 1952) |
«Oggi, piazza Taksim è il
castagno di Istanbul e deve continuare ad esserlo», ha scritto Pamuk in un breve
articolo pubblicato il 6 giugno da Repubblica.
Nell’esprimere il proprio sosegno ai ragazzi che dalla fine di maggio protestano
contro la decisione di sradicare i seicento alberi del Gezi Park di piazza
Taksim, che dovrebbero cedere il posto ad un faraonico centro commerciale, lo
scrittore ha condannato la «crescente deriva del governo verso
l’autoritarismo», dicendosi però certo che «la gente di Istanbul non rinuncerà
né al suo diritto di tenere manifestazioni politiche in piazza Taksim, né ai
suoi ricordi, senza combattere».
Nelle settimane seguenti alle dichiarazioni
di Pamuk, i manifestanti di Occupy Taksim sono stati più volte dispersi e
brutalmente picchiati dalla polizia. Le immagini della repressione hanno fatto
il giro del mondo. Dopo aver dichiarato di non ricoscere la legittimità del
Parlamento Europeo, che nei giorni scorsi ha approvato una risoluzione di
condanna delle aggressioni, ora il premier Erdogan afferma che il Brasile della
Confederation Cup è vittima dello stesso complotto ordito contro la Turchia: «Coloro
che hanno fallito in Turchia stanno facendo del loro meglio in Brasile. I
simboli sono gli stessi, i manifesti sono gli stessi, Twitter e Facebook sono
gli stessi, i media internazionali sono gli stessi. Le proteste sono condotte
dallo stesso centro».
Nel momento in cui la ormai decennale
egemonia del partito islamico AKP di Erdogan assume tratti antidemocratici e
grotteschi, tornano alla mente le parole che proprio Pamuk scrisse nel più
famoso dei suoi romanzi, Il mio nome è
Rosso (Einaudi, 2001). Nel passaggio che segue, la voce narrante è quella
di un albero disegnato: «Un grande maestro miniaturista europeo e un altro
grande miniaturista camminavano su un prato europeo e parlavano di maestria e
arte. Di fronte a loro si parò una foresta. Quello più abile disse all’altro: “Disegnare
con metodi nuovi significa avere una maestria tale che, una volta disegnato un
albero di questa foresta, un appassionato che guardi il disegno venga qui e
possa distinguere quell’slbero in mezzo agli altri”. Io, il povero disegno di
albero che vedete, ringrazio di non essere stato disegnato con una simile
mentalità. Non perché abbia paura che se fossi stato disegnato con i metodi europei
tutti i cani di Istanbul, credendomi vero, mi avrebbero pisciato sopra. Ma perché
io non voglio essere un vero albero ma il suo significato».
Manuel Lambertini
Nessun commento:
Posta un commento