Leonard Cohen (Montreal, 21 settembre 1934) |
C’è tutto
Leonard Cohen nel duplice proposito di festeggiare l’ottantesimo compleanno con
l’uscita di un nuovo album e con la vagheggiata riscoperta, dopo molti anni,
del vizio della sigaretta. Ci sono il suo innato senso della disciplina e un
fondo di radicalismo mai tradito, la fremente esaltazione e l’autodenigrazione.
Nei prossimi giorni forse sapremo se la promessa di riprendere a fumare sia
stata onorata; il nuovo disco è invece realtà: Popular Problems, in uscita il 23 settembre, si annuncia come il
più "politico" dei suoi tredici album – nel cupissimo scenario di un’umanità
disorientata da tragedie come l’11 settembre o l’uragano Katrina – e sembra preannunciare un’altra attesissima tournée.
«Viviamo
prigionieri di un senso di paura e di sconfitta, minacciati da forze oscure che
modificano le nostre vite», ha detto anche di recente, ribadendo quello che è
sempre stato un punto fermo della sua poetica. «Tutti soffriamo, tutti siamo
impegnati in una lotta per il reciproco rispetto. Dobbiamo cominciare a
riconoscere che il nostro dolore è uguale a quello degli altri, che la nostra
battaglia è legittima quanto quella dei nostri nemici».
Leonard Cohen e il maestro Roshi, scomparso il 27 luglio 2014 a 107 anni. |
Elementari necessità
economiche ne avevano costretto il ritorno sulle scene, nel 2008, a seguito di
una frode commessa ai suoi danni dalla manager Kelley Lynch: dopo essersi ritirato
per circa sei anni nel monastero zen di Mount Baldy, a Los Angeles, ospite dell’amico
e maestro Kyozan Joshu Sasaki Roshi, Cohen aveva scoperto che il suo conto in
banca era stato prosciugato e i diritti d’autore delle canzoni venduti. Rimessosi in pista, sarebbe incredibilmente
riuscito a sconfiggere il fantasma del massacrante tour dell’album The Future (1992), che lo aveva fatto risprofondare
negli abissi della depressione, e a regalarsi una volta per tutte il piacere del
confronto col pubblico.
Se si potesse ripercorrere
con uno sguardo il romanzo della sua vita, lo si vedrebbe studiare il Talmud e
l’arte dell’ipnosi nella Montreal degli anni ’40, e imbattersi con
incontenibile meraviglia nelle poesie di Federico García Lorca. Lo si
ritroverebbe nell’isola di Idra, in Grecia, insieme all’amata Marianne e all’amico
poeta Irving Layton; oppure all’Avana, in attesa di poter difendere la Revolución da un
eventuale attacco americano; o ancora nel deserto del Sinai, a cantare per le
truppe israeliane schierate nella guerra del Kippur e a scrivere il testo di Lover, lover, lover, poi dedicata «agli
eserciti di entrambe le parti».
Leonard Cohen e il chitarrista Javier Mas |
È un universo, quello di Cohen, dove l’amore
carnale e la fede sembrano concorrere in egual misura ad alleviare le
sofferenze umane e a riempirle di senso, come nel brano che lo ha reso
immortale, quell’Hallelujah scritta
in cinque lunghi anni, e nell'ancor più intensa If It Be Your Will: «Lascia che la tua misericordia si riversi / su
tutti questi cuori che bruciano all'inferno / se è tua volontà / di farci stare
bene». Quando, in un’intervista del 1994, gli fu chiesto quale canzone avrebbe
voluto scrivere, la sua risposta fu: «If
It Be Your Will. E l’ho scritta io».
«Se conoscessi il luogo in cui abitano le canzoni lo visiterei più spesso», è una delle sue battute più
frequenti. E oggi che ha dichiarato di aver prodotto Popular Problems sotto l’influsso di un’ispirazione torrenziale, sembrano
trovare conferma le parole della sua biografa Sylvie Simmons, secondo cui il
tour del 2008 e l’album Old Ideas del
2012 gli avrebbero fatto raggiungere quella condizione di leggerezza e serenità
che aveva sempre cercato. Sono stati invece smentiti coloro che avevano visto Old Ideas come un congedo, per quanto ancora
incisivo e disinvolto: Leonard Norman Cohen, ebreo osservante «nato con l’abito»
e monaco zen dal sorriso obliquo, non ha in programma alcun commiato.
Manuel Lambertini