Con Carolina Crescentini e Giampiero Calderoni |
Per presentarlo non bastano parole
come «cacciatore di vip», «collezionista di autografi» o «presenzialista» (il termine tecnico sarebbe «angolista», una fortunata definizione che l'amico film-maker Walter Ciusa ha mutuato dal
poker), che pure riassumono con una certa esattezza la sua principale
occupazione. Giampiero aveva ormai acquisito lo status di “personaggio pubblico”,
ed era conosciuto in ogni parte d’Italia, forse più di quanto lui stesso
immaginasse. Lo conoscevano ovunque come “il Prof.”, per via di una laurea in
Economia e Commercio e di un passato da insegnante negli istituti
tecnico-commerciali. Per noi che facevamo parte della sua banda era “il Sommo”,
“il Boss”. Avrebbe voluto essere ricordato come «un uomo vissuto per lo spettacolo».
Dopo averne reso pubblica la
scomparsa, sulla pagina Facebook che il suo ammiratore Luca Coralli aveva
creato per lui nel gennaio 2011, ho assistito in presa diretta ad un
inarrestabile e stupefacente passaparola, con una valanga di messaggi di
cordoglio. Gli apprezzamenti alla pagina sono triplicati, e la notizia è stata
ripresa dai quotidiani e da diverse radio locali. I cacciatori d’autografi
sanremesi, particolarmente addolorati, mi hanno tutti detto di non riuscire ad
immaginare il Festival della Canzone senza di lui.
Il mio annuncio del 16 luglio, che inizialmente
voleva essere laconico e distaccato, cominciava così: «Il professor Giampiero
Calderoni è stato trovato senza vita nella sua casa di Imola nel pomeriggio di
ieri, 15 luglio 2013. Chi lo conosceva ricorderà il suo humour nero e le sue
battute spinte, ma questo non è uno scherzo». Dal giovedì della settimana
precedente, aggiungevo, si era reso irreperibile. La sua assenza ad eventi a
cui non avrebbe potuto mancare per nulla al mondo aveva preoccupato le persone
che gli erano più vicine: due di loro, la faentina Barbara e il forlivese
Marco, erano andati a cercarlo a casa e si erano decisi a chiamare i vigili del
fuoco, che sfondata la porta ne avevano constatato la morte.
Giampiero Calderoni ed Emir Kusturica |
Nei sei anni di scorribande
passati insieme, scrivevo, ho visto Lucio Dalla e Gianni Morandi salutarlo
sempre con affetto e invitarlo generosamente ai loro spettacoli. Ho visto Lola
Ponce rientrare all’Hotel Baglioni all’1.30 della notte e convincere Giò Di
Tonno a ritirare fuori la chitarra dal fodero, per cantare davanti a lui:
«Dedichiamogli un bel concerto, al Principe!». E ho visto un altro “Principe”,
Francesco De Gregori, sempre così schivo e accigliato, avvicinarglisi nel retro del palco di Piazza Maggiore
prima di un concerto e dirgli, quasi con premura: «Non senti niente da qui,
devi andare là davanti».
La notizia della sua morte era
stata riportata con una certa rilevanza anche nella cronaca del Resto del Carlino di Imola. Ma non
avrebbe avuto la stessa eco se un’amica degli «angolisti», la giornalista di Repubblica Giorgia Olivieri, non avesse
pubblicato un lungo articolo nell’edizione on line del giornale. Articolo che è
arrivato sotto gli occhi di molti degli artisti che conosceva e delle più
importanti personalità bolognesi. Hanno poi fatto seguito il Corriere, con una lunga photogallery, e Il fatto quotidiano. Gianni Morandi in
persona, citando l’articolo di Repubblica
sul suo profilo Facebook, gli ha infine reso un omaggio che lo avrebbe
emozionato: «Conoscevo bene Giampiero, mi seguiva nei concerti. C’era sempre,
il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. E’ venuto per due anni a
Sanremo, quando conducevo io ed eravamo diventati amici. L’avevo visto poco
tempo fa a Bologna. Mi mancherà… Ciao prof».
Grazie sempre a Giorgia Olivieri,
il nome del Prof. era già comparso sulla stampa locale nel luglio 2010 (in un
articolo intitolato Cacciatori
d’autografi: anche appostarsi è un’arte), accanto a quelli degli altri
componenti della banda: “il Matto” (Marco, il suo braccio destro, noto anche
come “Lametta”, “Schwarzenegger” e “Unabomber”), “il Matis”, “Cavallino”,
“Little Tony”, Luigi Finetti e il sottoscritto (ancora orfano di nome de guerre!). Mancavano alla lista
di allora alcuni battitori liberi come “Bagnacavallo”, “l’Uomo Nero”, “il
Catanese”, la già citata “Faentina”, “la Madre e il Figlio” e "il Monaco", alcuni dei quali non avevano
ancora ufficializzato la loro stabile appartenenza al gruppo.
Avevo conosciuto il Professore «on
the road», nel maggio 2007, al termine di un incontro con Morgan alle Scuderie
di piazza Verdi. Pioveva, ed io mi ero offerto di accompagnarlo con l’ombrello
per le vie della zona universitaria, sulle tracce del trasgressivo cantautore.
A diciassette anni, non immaginavo che quel giorno avrebbe segnato uno
spartiacque, nella mia vita; e oggi mi rendo conto di non avere ancora
acquisito piena coscienza di cosa significherà non vedere più profilarsi
all’orizzonte la sua barcollante figura barbuta.
Era un uomo esplosivo, nella
corporatura come nel carattere. Esplodeva in fragorose risate e in spettacolari
attacchi di collera. Possedeva un’eccezionale capacità di osservazione, a cui
univa una memoria dalla portata ciclopica. Forte di un’esperienza
cinquantennale, pianificava ogni nuova imboscata come fosse la prima, senza
dare nulla per scontato. Appena lo conobbi, divenni per lui una sorta di
fotografo personale: avevo il compito di immortalarlo al fianco del personaggio
di turno e di fargli avere le foto in tempi brevi. Guai a stamparle in un tipo
di carta diverso da quello cui era abituato: se ne accorgeva, e le rifiutava! Luigi
Finetti, investito del compito di accompagnarlo in auto nei luoghi che non
poteva raggiungere in treno, mi diceva che «lo viziavo». Ed era vero.
Una volta, infatti, Luigi non
poté portarlo ad uno dei tanti concerti che si tenevano al Futurshow Station di
Casalecchio. Così lui si rivolse a me con fare imperioso. Mi spiegò che se
fosse tornato in stazione in autobus non sarebbe riuscito a prendere il treno
di mezzanotte e mezzo per Imola, e avrebbe dovuto passare la notte a Bologna.
Quella sera, però, avevo già un impegno con altri due amici, e poi dovevo
vedermi con lo stesso Marco. Pur con qualche malumore, sembrò capire la
situazione e non insistette. Forse si illuse di riuscire a tornare ad Imola
comunque, magari abbandonando il concerto prima della fine, o più probabilmente
continuò a coltivare la speranza di vedermi comparire sul posto, come un
tassista improvvisato... Inutile dire che nulla di ciò avvenne.
Ma un destino inclemente volle
che proprio quella notte andassi con Marco alla stazione, e che incontrassi
Giampiero davanti alle scale del primo binario. Non impiegai molto tempo a
capire che aveva perso il treno.
«Non farti neanche vedere! Tu sei
un pezzo di merda!» urlò puntandomi
l’indice contro, e attirando l’attenzione della fauna umana più variegata che
si potesse trovare. Infatti ci si avvicinò un magrebino mezzo ubriaco e
dall’aria confusa: «Io conoscere lui… Lui buono…
Cosa avere fatto tu a lui?»
«Niente, niente, è tutto a
posto…», balbettavo io per sdrammatizzare.
«C’è che è un coglione! Diglielo anche tu che è un coglione!» continuava il Prof.,
implacabile.
Per fortuna quelle imprecazioni
non ebbero seguito, il magrebino rinunciò alla mediazione e nel giro di un
quarto d’ora tutto tornò alla normalità.
Giampiero Calderoni sul set di Un matrimonio di Pupi Avati |
Gli restavano però gli artisti.
Loro non lo avrebbero mai deluso. Era convinto che in lui vedessero quello che
loro stessi sarebbero potuti diventare se una strana combinazione di talento,
impegno e fortuna non li avesse portati alla notorietà. Come ha scritto anche
Giorgia Olivieri, «per uno strano ribaltamento di ruoli, era il vip che lo
andava ad omaggiare». Proprio così. I vip rendevano omaggio al freak. E gli
aneddoti da raccontare sarebbero centinaia. Da Pippo Baudo ad Al Bano, da Lucio
Dalla a Ligabue, passando per Massimo Ranieri, Ron, Cesare Cremonini, Max Pezzali, Biagio Antonacci, Irene Grandi, Francesco Renga, i
Subsonica, Elio e le Storie Tese, Giovanni Allevi, Simone Cristicchi, Enzo Iacchetti, Red Ronnie: per
lui erano tutti «amici».
«E tu da dove arrivi, dalla
steppa?» gli chiese una volta, divertita, Valeria Golino.
Luigi Finetti, Al Bano e Giampiero Calderoni |
Di alcuni cantanti si era infatuato
negli ultimi anni: i Sonohra su tutti. Altri, come l’inossidabile Morandi, non lo stancavano mai. E il grande Dario Ballantini rafforzò
inconsapevolmente il suo sodalizio ideale col cantante di Monghidoro… Durante una festa in un famoso showroom di Calderara di Reno, Ballantini si
esibì in un’imitazione di Morandi nella quale cantava Banane e lampone; nel momento clou del brano, si inginocchiò
platealmente davanti a Giampiero: «Per fortuna io ho te, amore!».
Per concludere, una
precisazione che a chi mi conosce parrà superflua. Non c’è un solo minuto di
quelli trascorsi col Professore che consideri tempo perso. Anzi, rimpiango di non
essere mai andato con lui a Sanremo. E di non poter riavvolgere il nastro per
rivivere tutto daccapo.
Manuel Lambertini